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editoriali

Maldini o non Maldini: non è questo il vero dilemma amletico…

CAGLIARI, ITALY - JANUARY 11:  Paolo Maldini of Milan looks on during the Serie A match between Cagliari Calcio and AC Milan at Sardegna Arena on January 11, 2020 in Cagliari, Italy.  (Photo by Enrico Locci/Getty Images)

Gli alberi delle certezze e il mondo del calcio....

Redazione DDD

di Max Bambara -

Dire che nel calcio non esistono certezze può apparire una banalità. Eppure è una delle pochissime verità quasi insindacabili, perché quel che oggi sembra indiscutibile, domani può presentarsi sotto forma di criticità oppure di incertezza. L’esperienza quindi ci porta a considerare le convinzioni come elemento debole dei ragionamenti calcistici. Ancora di più questo avviene quando le convinzioni albergano nel campo cieco del talebanismo militante.  Se si vuole approcciare correttamente all’argomento pallonaro pertanto è preferibile rimanere nell’alveo delle idee, tentare di svilupparle, discuterle, sviscerarle, magari provando ad osservarle da un punto di osservazione diverso rispetto a quello abituale. Gli alberi delle certezze, presi nella loro corteccia inesplorabile fatta di preconcetti mai messi in discussione, non possono rappresentare un punto di partenza argomentativo, semmai un qualcosa di ostativo alla conoscenza. Quante volte, a tal proposito, abbiamo sentito parlare della necessità per il Milan di avere una bandiera all’interno della propria compagine societaria, finanche non più bandiere? Molte, moltissime possiamo dire. E a questa idea, rilanciata da più parti come salvifica e necessaria per le sorti del Milan, si accompagnava il pensiero indiscusso secondo cui chi sul campo aveva fatto la storia, non poteva che rappresentare egregiamente il Milan anche fuori dal campo. Fra la fine del 2013 e l’inizio del 2017, questo ragionamento è stato elevato dati tifosi come garanzia di qualsiasi progetto vincente per il Milan. Senza una bandiera fra i quadri societari pareva che il mondo non potesse andare avanti. Discutere tale tesi appariva quasi profano. Non a caso, quando nell’autunno del 2016 Paolo Maldini declinò l’offerta che il futuro CEO del club Marco Fassone gli aveva presentato, per tanti quel rifiuto era un segnale evidente ed inequivocabile della scarsa affidabilità del progetto cinese.

E quando il fondo Elliott acquistò il Milan, il primo pensiero è così andato all’ex milanista Leonardo come responsabile dell’area tecnica (non una bandiera del club, ma comunque un personaggio molto rappresentativo nella storia del Milan) e a Paolo Maldini come sua spalla. Oggi però, dopo tanti anni in cui le delusioni si sono accumulate ed in cui la struttura societaria del Milan ha mostrato troppo spesso smagliature e crepe nei momenti decisivi delle stagioni, ecco che la tesi della bandiera viene ribaltata e si crea, in un batter di ciglia, la tesi opposta. Al Milan oggi, secondo la tesi dominante, non servono milanisti, giocatori che sono stati grandi in campo e che fuori da esso devono soltanto dimostrare tutto. Al Milan servono professionisti, magari di altra fede sportiva, ma con esperienze professionali già acquisite in altri lidi. Gli umori insomma, con l’andare degli anni, determinano le leggi sacre che i tifosi si passano di bocca in bocca, come se in queste incrollabili certezze potesse celarsi la possibilità concreta di un rilancio del Milan.

Probabilmente basterebbe avere meno fiducia nelle tesi precostituite e figlie della moda del momento, per capire che non è su quelle basi che poggiano le speranze di rinascita di un club che non è competitivo da troppi anni. Chi scrive non è in grado di dire se Paolo Maldini, tanto per restare sul tema, sia o meno un ottimo dirigente per il Milan. Chi scrive se lo augura per la considerazione che ha dell’uomo Maldini e per l’enorme legame con la maglia numero 3 rossonera. Paolo però, ad oggi, deve dimostrare tutto. In un senso, come nell’altro. Appare arduo sostenere che sia un dirigente illuminato, visto che non abbiamo una base empirica per valutarne l’operato sul lungo periodo (da responsabile dell’area tecnica è in carica da pochi mesi). Risulta tuttavia, al contempo, abbastanza complicato bocciarne la figura dirigenziale soltanto sulla base di una scelta infelice relativamente alla panchina del club, dato che su Giampaolo pare essersi giocato larga parte del credito secondo la critica più feroce. Walter Sabatini, grande dirigente di lungo corso, prima di arrivare a creare il ciclo di Rudi Garcia alla Roma, cannò completamente per due anni di fila le scelte di Luis Enrique e Zeman, i quali ottennero magri risultati nonostante i grandi investimenti del suo club.

In sostanza, ad oggi, se vogliamo essere corretti e privi di qualsiasi patina di parzialità nelle valutazioni, dobbiamo riconoscere che il lavoro del Maldini dirigente è valutabile soltanto in maniera marginale e non con gradi di giudizio sicuri ed incontestabili. Ci sarebbe bisogno di un arco temporale medio per riuscire ad avere giudizi più vicini all’oggettività e meno vincolati ad umori figli dell’attimo. Il calcio però, come una pentola a pressione, non aspetta. Ha un concetto esasperato del tempo ed i tifosi, di ciò, ne sono schiavi inconsapevoli. L’unica vera certezza incontestabile nel calcio è che un club riesce a diventare competitivo e ad avere una sua credibilità soltanto nel momento in cui si dà una struttura societaria chiara, precisa e perfettamente coesa al suo interno. Una struttura in cui il “noi” come pronome sopravanza sempre l’”io”.  Ecco questo tipo di società, al di là dei nomi e delle tesi fideistiche, al Milan manca davvero da troppo tempo. Un blocco omogeneo che riesca a fondere proprietà e società, rendendo il club impermeabile a qualsiasi vento di procella.

Anche la miglior gallina, d’altronde, fa le uova d’oro soltanto nel pollaio giusto, dove si sente protetta e dove le uova meno riuscite non diventano errori individuali, ma responsabilità collettive di tutti quanti.  C’è stato un tempo in cui il Milan veniva addirittura definito il Mulino Bianco. Oggi, invece, ci sono troppi peones rossoneri che lottano imperterriti contro i mulini a vento. La differenza storica, in fondo, sta tutta qui.

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