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editoriali

Marcello Lippi e la finale di Manchester: un dente avvelenato che dura ormai da 17 anni

La finale tutta italiana del 2003

Nella giornata di ieri, Marcello Lippi ha rilasciato un’intervista a Radio Uno, nella trasmissione Un giorno da Pecora, analizzando tutta la situazione attuale del calcio, sconvolto dall’emergenza del coronavirus. A margine della stessa...

Redazione DDD

di Max Bambara -

Le parole di Marcello Lippi: “Mi sono rivisto tutte le partite del mondiale 2006, e poi anche tutte le finali a cui ho partecipato come allenatore. Ne ho fatte abbastanza, qualcuna anche sfortunata, ma le finali sono sempre dei cammini internazionali importanti. Quella che mi ha lasciato di più l’amaro in bocca è stata quella di Manchester, la finale di Champions persa ai rigori con il Milan”. Non è la prima volta che l’allenatore della Nazionale italiana campione del mondo del 2006 torna su questo che, per lui ma non solo per lui, continua ad essere un vero e proprio nervo scoperto. Dietro quell’amaro in bocca espresso da Lippi infatti si cela, nemmeno in modo troppo velato, una sorta di mancata accettazione di quella sconfitta da parte del mondo juventino che l’ha vissuta e raccontata come episodica ed immeritata. Questo singolare ritornello dura ormai in modo continuo da ben 17 anni e, probabilmente, rimarrà una sorta di leit motiv per il popolo juventino. Proprio l’allenatore della Juventus, qualche minuto dopo il rigore vincente realizzato da Shevchenko, si lasciò andare ad alcune dichiarazioni non particolarmente felici e, nel contempo, poco pertinenti con quell’edizione della Champions League. Lippi, nella notte fra il 28 ed il 29 maggio 2003, spiegò che quella partita era stata poco bella, che la Juventus aveva dovuto fare a meno del suo giocatore più in forma (Nedved) a causa di una squalifica “discutibile” e soprattutto fece presente che la sua Juve aveva dato ben 27 punti di distacco al Milan negli ultimi 2 campionati. Orbene, appare opportuno contestare il Lippi pensiero (incarnante in pieno quello della tifoseria juventina) sulla scorta di alcune considerazioni abbastanza tautologiche e non contestabili. In primis, vero è che la finale di Manchester non fu spettacolare, ma raramente in Champions le finali sono spettacolari, basti pensare alla prestazione del Liverpool campione d’Europa contro il Tottenham soltanto un anno fa. Inoltre in quella finale, la Juventus si è limitata ad una traversa di Conte, mentre il Milan ha sempre cercato di fare la partita creando più occasioni e, ancora oggi, la parata di Buffon su Inzaghi nel primo tempo rimane una delle parate più difficili della storia, tanto da finire puntualmente sulle copertine delle sigle televisive della Champions. Non solo: il Milan giocò quella finale con tutta la sua qualità schierata in campo (Pirlo, Seedorf, Rui Costa, Sheva e Inzaghi), mentre Lippi impostò la gara sul tatticismo esasperato, schierando un difensore centrale (Montero) bloccato a sinistra.

Ai rigori poi vinse la squadra che lo meritava di più, dato che aveva giocato quasi mezz’ora di supplementari con un uomo in meno (Roque Junior stirato), senza che la Juventus provasse mai a rischiare di vincere la partita. Forse Lippi, da quell’esperienza professionale, trasse insegnamenti preziosi, visto che 3 anni dopo, nella semifinale dei Mondiali contro la Germania, impostò l’Italia con una mentalità molto diversa nei supplementari. Quella gara, di portata storica, Lippi iniziò a prepararla tre anni prima quando capì che, alla fine della fiera, ad alti livelli vince quasi sempre chi ha il coraggio di osare. Nelle recriminazioni juventine sull’assenza di Nedved poi, si nasconde un alibi perfetto, buono per tutte le occasioni. Sarebbe facile ricordare che il Milan, nel 1994, aveva battuto il Barcellona di Romario senza Baresi e Costacurta. In realtà quella finale così tattica poteva essere sbloccata solo da un giocatore di classe eccelsa capace di saltare il raddoppio costante con la sua qualità nello stretto. Zidane, tanto per dirne uno, non certo Nedved che era uno straordinario podista d’assalto, reso celebre da una delle edizioni più strane del Pallone d’Oro. Infine, in merito ai 27 punti dati dalla Juve al Milan nei due campionati precedenti, si potrebbe dire che per Lippi questa fu una vera e propria caduta di stile, un modo per non riconoscere i meriti dell’avversario, arrampicandosi su specchi immaginari. Il Milan del 2002-03 era una squadra completamente diversa dal quella del 2001-02: c’erano in più Dida, Nesta, Rivaldo, Seedorf e Tomasson, c’era Inzaghi finalmente abile e arruolabile dopo che nella stagione precedente aveva dovuto star fermo quasi 4 mesi, c’era la nuova posizione davanti alla difesa di Andrea Pirlo, c’era Paolo Maldini sempre a disposizione (nel dicembre 2001 il Milan lo perse per quasi tutta la stagione per un infortunio a Bergamo) e c’era la versione migliore di Rui Costa, finalmente non più tormentato dagli infortuni. I punti di distacco reali erano solo 11, ossia quelli riferiti all’ultimo campionato ed erano nati nel girone di ritorno di quella stagione dove il Milan aveva perso qualche punto contro le piccole a causa di alcuni cali di concentrazione dovuti a partite di Champions molto delicate e ad una stagione iniziata molto presto per via dei preliminari. La Juventus, da sempre, ritiene di aver meritato di più quella coppa per aver battuto fra quarti e semifinali Barcellona e Real Madrid, senza pesare quanto sia estenuante in termini di energie nervose un doppio derby di Champions in semifinale e senza menzionare altresì il suo passaggio del secondo gironcino, ottenuto solo grazie alla classifica avulsa favorevole con Deportivo e Basilea. Quella Juve poi era alla fine di un ciclo, come avrebbe dimostrato il campionato successivo e la scelta del club di sostituire Lippi con Capello nel maggio del 2004, rivoluzionando la squadra con Cannavaro, Emerson e Ibrahimovic.

Quel Milan invece stava per aprire un ciclo epico, forse irripetibile, con 3 finali di Champions League disputate in 5 anni ed una carica innovativa del gioco e del modo di stare in campo. Insomma, è molto probabile che per Lippi e per tutto il popolo juventino la finale di Manchester continuerà ad essere un’ingiustizia del fato, ma i dati reali dicono cose molto diverse. La storia, d’altronde, non ha bisogno di troppe spiegazioni ed il prestigio internazionale di un club è qualcosa di strettamente connesso alla storia, al blasone e soprattutto allo stile con cui si dovrebbero saper accettare le sconfitte più dure.

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