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FORMICHE E CICALE

Mercato e strategie: il progetto silenzioso e la confusione rumorosa

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A confronto l'ultimo triennio del Milan e della Juventus. Mosse di mercato, progetto sportivo, numeri a bilancio.

Redazione DDD

di Max Bambara -

Il silenzio della formica e il rumore della cicala. Con questa metafora si potrebbe connotare l’ultimo triennio di Milan e Juventus. Alla fine del campionato 2018-2019 la differenza fra le due squadre era di 22 punti sul campo (90 contro 68). Se si considera invece il triennio 2016-2019 la squadra bianconera è stata capace di dare ben 81 punti di distacco a quella rossonera. Lo scarto numerico aiuta a comprendere i rapporti di forza esistenti, sino a non molto tempo fa, fra le due squadre storiche della Serie A italiana. Nell’ultimo triennio invece la differenza si è dapprima assottigliata e poi, successivamente, si è azzerata. Nella scorsa stagione addirittura il Milan è riuscito a finire davanti in classifica alla Juventus e nell’attuale campionato la squadra rossonera è davanti di 7 punti dopo 23 giornate di campionato. Il ribaltamento di forze non è figlio del caso o della fortuna, né tantomeno del destino cinico e baro che si è accanito contro la casa madre bianconera. Semmai bisogna evidenziare come dall’estate del 2019 in poi la società milanista abbia intrapreso un progetto virtuoso in cui ha azzeccato quasi tutte le scelte operate sul mercato; di contro dall’estate 2019 la Juventus ha cominciato una lunga marcia senza bussola nella quale gli investimenti sono stati poco ponderati e il progetto tecnico è diventato secondario rispetto ad altre componenti. Il Milan da ottobre 2019 (dopo il tentativo non riuscito con Marco Giampaolo) ha puntato su Stefano Pioli ed ha avuto la forza di confermarlo anche quando i risultati non erano quelli previsti. La Juventus invece, in aperta controtendenza con la sua storia secolare, in soli 24 mesi, ha licenziato il pragmatico Massimiliano Allegri per prendere il filosofo zonista Maurizio Sarri. Nemmeno un anno dopo, in un battibaleno, lo ha esonerato per lanciare il neofita Andrea Pirlo il quale, nonostante il quarto posto raggiunto, è stato cortesemente messo alla porta per richiamare sulla panchina nientedimeno che Allegri, il tecnico che era stato giubilato due anni prima perché, secondo una certa parte della società, non giocava bene. Sul mercato poi, il Milan ha scelto di darsi un metodo, una serie di linee guida precise e rigorose all’interno di un perimetro tecnico molto dettagliato. La società rossonera ha azzeccato quasi tutte le operazioni (Theo Hernandez, Bennacer, Rafael Leao, Rebic, Kjaer, il ritorno di Ibrahimovic, Saelemekers, Tonali, Tomori, Maignan), migliorando la base tecnica della squadra e, nel contempo, riuscendo a ridurre in maniera considerevole i passivi (in base ai dati dell’ultimo bilancio di esercizio la perdita è stata dimezzata ed è scesa sotto i 100 milioni di euro). Pochi gli errori di valutazione (Duarte, Mandzukic), comunque non apprezzabilmente incidenti sui conti del club.

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Di contro la Juventus ha sbagliato quasi tutte le scelte possibili, portando il bilancio ad un passivo monstre (oltre i 200 milioni di euro, record negativo nella storia del club) e facendo nel contempo perdere competitività alla squadra. De Ligt è stato il caso più eclatante. Pagato a peso d’oro (85 milioni di euro) due estati orsono, l’olandese non ha mai reso in base alle aspettative, pesando in maniera considerevole sul bilancio del club bianconero fra un costo di ammortamento altissimo ed un ingaggio non in linea col valore reale del giocatore. Anche sugli scambi la mano juventina è stata poco illuminata. Lo scambio Spinazzola Pellegrini non è stato positivo dal punto di vista tecnico (Spinazzola titolare fisso in Nazionale, Pellegrini è diventato un giocatore di contorno), quasi quanto lo scambio Pjanic Arthur, che ha tolto alla Juventus un giocatore chiave per portare in rosa, invece, un elemento discutibile, discontinuo e non adatto ai ritmi della Serie A. L’emblema degli scambi non riusciti è, tuttavia, l’operazione Cancelo Danilo, in ragione del rendimento completamente opposto avuto dai due giocatori una volta cambiata maglia. L’estate 2019 rimarrà famosa per i “colpi” in entrata Ramsey e Rabiot. Entrambi arrivati a costo zero di cartellino, in cambio di ricche commissioni elargite ai procuratori e ingaggi faraonici riconosciuti ad entrambi. Di Ramsey le tracce si sono perse molto presto; il gallese ci ha messo poco per diventare un indesiderato, vista la sua inaffidabilità dal punto di vista fisico. Per il francese Rabiot invece i vari allenatori che si sono alternati sulla panchina bianconera hanno provato a farlo rendere come mezzala, come interno in una mediana a due, addirittura come esterno di centrocampo. I risultati non hanno avuto esiti apprezzabili, tanto è vero che nessun tifoso bianconero riesce a spiegarsi, ancora oggi, come questo giocatore possa avere uno degli ingaggi più alti dell’intera Serie A. Emblematiche di un acclarato stato confusionale poi certe operazioni finanziariamente insensate: Alvaro Morata è stato pagato 20 milioni di euro per un prestito biennale, una formula di mercato quasi sempre anticipatoria di una acquisizione a titolo definitivo. Ed invece lo spagnolo, a giugno, farà rientro all’Atletico Madrid, perché la Juventus non ha inteso esercitare l’opzione di riscatto. C’è poi il caso Kean: ceduto a 27 milioni nel 2019 e riacquistato due anni dopo a 38 (7 di prestito più 28 di obbligo di riscatto). Si tratta di un’operazione conclusa subito dopo la cessione (obbligata, causa bilancio disastrato) di Cristiano Ronaldo. Si è trattato di un’operazione figlia del timore di rimanere col cerino in mano, non certamente di un investimento ponderato. Come si può d’altronde spendere quasi 40 milioni per un giocatore che non viene poi quasi mai schierato da titolare dal tecnico? C’è, ancora, la gestione del difensore Romero a far discutere. Acquistato per oltre 30 milioni di euro dal Genoa, rivenduto a 16 milioni all’Atalanta che, soltanto un anno dopo, lo cede al Tottenham per quasi 50 milioni di euro. In sostanza, nell’ultimo triennio, a parte l’arrivo di Federico Chiesa, la Juventus sul mercato non ne ha presa nemmeno una. Giusto dire quindi, ad oggi, che l’acquisto di Vlahovic è stato un grande colpo, ma sarebbe altrettanto corretto evidenziare che si tratta di un colpo messo a segno da una società che da tre anni naviga a vista, sbagliando quasi tutte le operazioni in entrata ed in uscita e che nella scorsa stagione si è qualificata in Champions per il rotto della cuffia (o per un tuffo di Cuadrado secondo i malpensanti) pur disponendo di un signore (Cristiano Ronaldo) che, in quanto a reti segnate, non può essere considerato inferiore a nessuno. Ci sono opinioni, anche autorevoli, secondo le quali è sufficiente prendere un giocatore per ribaltare una credibile progettualità e una documentata confusione. I riscontri del campo e i numeri dei bilanci ci dicono però che le squadre si costruiscono con pazienza, con metodo e seguendo un percorso netto, all’interno del quale l’arrivo di un giocatore possa essere la ciliegina sulla torta e non la torta stessa.

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