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DALLA CHAMPIONS AL CAMPIONATO

Milan, le delusioni europee fanno crescere

Milan, le delusioni europee fanno crescere - immagine 1

Il Milan dovrà, col tempo, ridarsi una mentalità europea

Redazione DDD

di Max Bambara -

La mentalità europea non si può costruire in quattro partite. C’è bisogno di più tempo e non si tratta di voler giustificare un’eliminazione vicina, bensì di analizzare il contesto, nonché di pesare il livello delle prestazioni di una delle squadre più giovani in Europa. Quando manchi dal palcoscenico continentale più alto da ben 7 anni è inevitabile che tu debba pagare uno scotto, una tassa che definire occulta non è errato. Il Milan ha capito cosa fosse durante i primi 30 minuti della gara di Anfield, in cui resistere alle mareggiate rosse è stata una piccola impresa. Ha ragione però uno dei capitani di questa squadra, il polivalente Davide Calabria: la Champions League è la competizione dei dettagli ed è sui dettagli che si costruiscono i percorsi europei, dove serve anche quel pizzico di fortuna che stavolta, invece, il Milan non ha avuto, se è vero come è vero che il rigore dell’Atletico Madrid non c’era e che i due gol del Porto erano entrambi annullabili per due irregolarità di chi ha recuperato il pallone. Tuttavia, fermare l’analisi a questi episodi non sarebbe cosa buona e giusta, perché il Milan, in questa Champions League, ha giocato 60 minuti di grande calcio con l’Atletico Madrid (comprensibile il calo finale vista l’inferiorità numerica), ma ha toppato alla grande i 180 minuti contro una buonissima squadra come il Porto, che ha valori ed esperienza, ma che non rappresenta il top della Champions League. Contro la squadra allenata da Sergio Conceicao si poteva sicuramente fare di più e meglio: non è soltanto un problema di risultati, ma soprattutto di prestazioni. Dignitosi e fieri i 45 minuti finali del secondo tempo di mercoledì, ma in tre tempi su quattro il Porto ha sempre controllato la partita, portandola sui binari preferiti dove il Milan non è stato capace di reggere l’urto.

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Il gap è tutto lì ed è un gap mentale, perché tecnicamente questa squadra può crescere, ma è già ad un buon livello, atteso che nella scorsa stagione ha rischiato di eliminare il Manchester United in Europa League, giocando meglio nei 180 minuti complessivi. Tuttavia, soprattutto nell’attuale élite del calcio europea, che ha stratificazioni e step più profondi rispetto al passato recente, è inevitabile dover passare dalle magre figure per costruire una mentalità, per forgiarsi, per consentire ai tanti ragazzi giovani di questa squadra di crescere nella gestione della pressione che certe gare, inevitabilmente, portano. Queste sono le classiche cose che non si insegnano negli allenamenti: si imparano cadendo, sbucciandosi le ginocchia, prendendo qualche sonoro schiaffone. Non basta giocare bene in Champions League, non basta avere un’identità. Serve anche avere mentalità e nel termine mentalità rientrano molte cose, alcune minuscole, ma terribilmente pesanti al momento del dunque. Anche il talento, che questa squadra ha, va allenato nella psiche. Lo insegna la storia della Champions League e lo insegna anche la storia del Milan. Nella squadra che, nel 2003, regalò ai milanisti la gioia di Manchester come appendice finale di un percorso indimenticabile in Champions League, c’erano tanti ragazzi che si erano formati sulle delusioni europee. C’erano Abbiati, Shevchenko, Gattuso, Ambrosini, Serginho che, da rossoneri, avevano conosciuto le delusioni di Istanbul nel 1999 (in cui il Milan arrivò ultimo nel girone prendendo 2 reti nei minuti finali) e del pareggio che portò all’esonero di Zaccheroni contro il Deportivo la Coruna nel marzo 2001, determinando l’eliminazione nel secondo girone. C’era Pippo Inzaghi che la Juventus aveva scartato, ritenendolo un centravanti non adatto alle competizioni europee e c’era Sandro Nesta che, da capitano di una Lazio fortissima, in Champions League aveva conosciuto l’onta dell’eliminazione nei gironi contro il Leeds e contro il Nantes, ossia non con la nobiltà calcistica europea.

La morale della favola è molto semplice: chi vuole ardere il fuoco in Champions League deve prima bruciarsi. Questo Milan, con tanti ragazzi alla prima apparizione nella competizione dei dettagli, non poteva trovare un’eccezione soltanto sulla scorta della sua tradizione. D’altronde è sugli errori che ci costruisce, perché senza errori non si potrebbe crescere.

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