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editoriali

Mondiale 1934, gli azzurri campioni dal Duce ma lui non si vede: niente tessera ferroviaria e niente foto con dedica

Il ricevimento surreale dell'Italia campione del Mondo nel 1934 dopo il 2-1 sulla Cecoslovachia

Redazione DDD

di Luigi Furini -

E’ l’11 giugno 1934. L’Italia, allo stadio del Partito Nazionale Fascista, il giorno prima ha vinto il Campionato mondiale di calcio, battendo la Cecoslovacchia per 2 a 1. E’ il trionfo di Mussolini e di tutto lo sport italiano. Per questo, i giocatori sono invitati a Palazzo Venezia.

“Il Duce vuole conoscervi e farvi personalmente un regalo”, dice agli azzurri il presidente del Coni, Achille Starace. Con lui c’è il generale Giorgio Vaccaro, che aveva accompagnato tutta la spedizione azzurra. Poi presidente della Federcalcio negli anni della guerra, Vaccaro era uomo di grande rigore. Un esempio: aveva impedito ogni uscita dal ritiro dopo aver scoperto che i giocatori, per ammazzare la noia, si erano permessi una sera a teatro per vedere il “Rigoletto”. Comanda il gruppo il Ct Vittorio Pozzo, un fascista convinto, ex alpino, ex impiegato della Pirelli, e anche giornalista. C’è da salire una lunga scala, i saloni sono affrescati. Starace accompagna la comitiva. “Adesso il Duce vi riceverà e vuole farvi personalmente un regalo. Esprimete un desiderio e sarete accontentati”, sono le promesse del presidente del Coni ma anche luogotenente della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, ovvero le “camicie nere”.

Ed ecco che i calciatori, sottovoce, si mettono a discutere. Felice Borel, centravanti della Juventus, chiamato anche “Farfallino”, per il suo peso e la sua statura, pensa subito alla licenza di terza liceo. Il ritiro con la Nazionale gli ha impedito di sostenere gli esami di terza e lui, a quella licenza, tiene tantissimo. Giampiero Combi, il portiere (anche lui bianconero) è più pratico: “Chiediamo, per tutti, un tessera ferroviaria a vita, così possiamo viaggiare, noi e le nostre famiglie, senza pagare una lira”. Non tutti sono d’accordo. Certamente fra gli azzurri regna l’emozione. Si discute, ma bisbigliando le parole.

Starace va e viene dal salone. Riappare dopo qualche minuto: “Il Duce non può venire, è impegnato con l’ambasciatore della Gran Bretagna. Vi vedrà un’altra volta. Però dovete comunque esternare il vostro desiderio. Che sarà senz’altro esaudito”.

C’è ancora un attimo di imbarazzo. “Allora, che cosa avete deciso”, chiede Starace. Nel silenzio si leva la voce di Eraldo Monzeglio: “Vogliamo la foto del Duce con dedica”. L’idea viene approvata. “Farfallino” Borel fa una faccia un po’ così, che il suo pensiero va alla licenza di terza liceo. Combi ripensa alla tessera ferroviaria, ma approva l’idea di Monzeglio e si alza un applaudo. Il gruppo viene fatto uscire. “Non è mai arrivato niente - dirà Borel quasi cinquanta anni dopo -. Anzi, ci arrivarono, per posta, le foto di Starace e del generale Vaccaro. E basta”.

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