CRESCITA SI' MA GRADUALE

Monte ingaggi: Leao, Milan verso i 100 milioni

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Il tema del monte-ingaggi: analisi del costo degli emolumenti dei calciatori del Milan negli ultimi 15 anni
Redazione Derby Derby Derby

“Basta con la sostenibilità. Il Milan deve alzare il monte-ingaggi”. Questa è la convinzione dilagante di una certa parte del tifo rossonero e soprattutto di una parte importante del giornalismo nostrano.

Ma è davvero così?

Partiamo da un presupposto sin troppo tautologico: le certezze nel calcio non hanno ragione d’esistenza, perché tutto è relativo e ciò che oggi risulta “vincente”, domani potrebbe facilmente risultare “perdente”. Quel che può essere utile è analizzare l’andamento degli ingaggi del Milan negli ultimi 15 anni. Ogni stagione, d’altronde, partorisce approcci argomentativi diversi, a volte indotti, altre volte figli di convinzioni precostituite. Qualche anno fa, nel lontano 2009, Adriano Galliani veniva scorticato vivo per le ragioni opposte: il monte-ingaggi del Milan era ritenuto troppo alto (si parlava di circa 130 milioni di euro) ed era considerato la vera causa del cosiddetto “declino” del Milan post Atene. La tesi ricorrente dell’epoca evidenziava come troppe risorse venissero investite in giocatori “datati” e che avevano già dato il meglio della carriera. In quel periodo il manifesto ideologico di una certa parte dell’opinione pubblica sosteneva che il Milan doveva puntare su giocatori giovani, da costruirsi in casa. Guarda caso ciò che sta avvenendo al Milan oggi da qualche anno a questa parte.

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Nell’estate del 2012 il Milan arrivò alla doppia cessione di Ibrahimovic e Thiago Silva al PSG perché il suo monte-ingaggi aveva raggiunto livelli insostenibili (146,4 mln nella stagione 2010-11 e 135,2 mln nella stagione 2011-12). Da quel momento il Milan ha sempre tenuto il suo monte-ingaggi sotto quota 100 milioni, facendolo abbassare di quasi 30 mln nello spazio di 4 esercizi di bilancio (90,1 mln nella stagione 2012-13, 88,3 mln nella stagione 2013-14, 77,6 mln nella stagione 2014-15, 73,8 mln nella stagione 2015-16 e 61,1 mln nella stagione 2016-17). Con la cessione del club rossonero a Yonghong Li, il consorzio cinese si è trovato fra le mani un club con tanti giocatori patrimonialmente convenienti perché capaci di generare plusvalenze secche in caso di cessione (Donnarumma, Calabria, Suso, Locatelli, Cutrone) e con un monte-ingaggi vicino ai 60 milioni di euro in una fase storica in cui il fatturato del club si aggirava vicino ai 200 milioni di euro. C’era sostanzialmente la possibilità di investire con oculatezza, avendo anche un discreto margine di spesa. L’estate cinese (nel 2017) fu però figlia di una dissennata illusione a cui seguì un’estate 2018 vissuta senza programmazione, ma col tentativo di riportare subito in Champions League il Milan senza passare da un metodo ponderato.

In quei due anni il monte-ingaggi del club è esploso, andando oltre il cosiddetto livello di guardia. Si passò da 61,1 a 106,06 milioni di euro nella sola stagione 2017-18, sino alla soglia critica immediatamente successiva nella stagione 2018-19: 142,8 mln. Quest’ultima cifra era insostenibile finanziariamente dal club rossonero, atteso che i ricavi operativi del Milan, nella stagione 2019-20, scesero a soli 148,5 milioni di euro secondo la Deloitte Football Money League. Dopo questa esplosione del monte-ingaggi è iniziato un percorso guidato dal fondo Elliott in cui il Milan ha abbassato enormemente il costo degli emolumenti dei propri tesserati, fino a sfiorare quota 80 milioni (83,7 nella stagione 2020-21). Oggi gli ingaggi del Milan sono in crescita graduale (87,7 mln nella stagione 2021-22, 92,28 mln nella stagione 2022-23).

Appare plausibile che, con il prossimo rinnovo di contratto di Rafael Leao e con l’auspicabile rinnovo di contratto di Mike Maignan, il Milan si avvicini sempre più a quota 100 milioni di euro lordi di ingaggi nel prossimo esercizio 2023-24. La politica del club tuttavia continua ad essere parca e l’aumento degli emolumenti dei calciatori prosegue nel solco della sostenibilità finanziaria, perché gli unici club in Italia che hanno derogato a questa regola negli ultimi anni stanno oggi operando una retromarcia finanziaria abbastanza evidente. Basti pensare che la Juventus nel 2020 era arrivata a spendere 259,6 milioni di euro come monte-ingaggi. Oggi spende 162,8 mln ed il mandato che la proprietà darà al nuovo management in estate sarà presumibilmente quello di tagliare ancora i costi di almeno 30-40 milioni. L’Inter invece, dopo essere arrivata a spendere 155,8 mln nel 2022 ha dovuto abbassare in un anno gli ingaggi di circa il 15% sino alla cifra attuale di 133,54 mln e per l’estate le previsioni indicano un ulteriore taglio agli emolumenti dei giocatori, come il mancato rinnovo di Skriniar lascia presagire.

Dall’analisi di questi numeri e dell’andamento tendenziale del monte-ingaggi del Milan, emerge in maniera evidente come parlare in maniera semplicistica dell’argomento non sia un’operazione corretta; un aumento eccessivo della spesa per emolumenti rischia infatti di paralizzare le mosse del club. Per queste ragioni il Milan continua e continuerà ad operare nell’alveo di una crescita graduale e sostenibile.

La fonte dei dati utilizzati è https://www.capology.com/

 

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