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LA BOSMAN E IL SUO IMPATTO 26 ANNI DOPO

Non solo Calha, quando la Juve perse Vialli a zero: la sentenza Bosman e i suoi effetti oggi

LONDON, ENGLAND - JULY 11: Gianluca Vialli, Coach of Italy celebrates after victory in the UEFA Euro 2020 Championship Final between Italy and England at Wembley Stadium on July 11, 2021 in London, England. (Photo by Laurence Griffiths/Getty Images)

Nell'estate 1996, la Juventus perse Vialli a zero: la sentenza Bosman e il calcio europeo. Come riequilibrare l'attuale rapporto fra club e giocatori, oggi totalmente sbilanciato a favore di questi ultimi

Redazione DDD

di Max Bambara -

L’attuale sistema di mercato, nel calcio, è figlio della rivoluzione copernicana nata a cavallo fra il 1995 ed il 1996 con la celebre sentenza Bosman che cambiò totalmente le dinamiche del calciomercato e, nel contempo, gli equilibri fra le società ed i giocatori. Sino alla metà degli anni 90 infatti, il cartellino dei giocatori era di proprietà dei club e questo portava, inevitabilmente, a mettere le società in una posizione di forza al momento delle trattative per i rinnovi e per gli adeguamenti contrattuali. Poi accadde qualcosa di realmente epocale che, nel giro di pochi mesi, cambiò completamente il sistema di mercato europeo, dando ai calciatori un rilevante potere negoziale che, sino a quel momento, non avevano mai avuto. Nel 1990, Jean-Marc Bosman giocava col Royal Football Club Liegi, una squadra di prima divisione belga. Era al suo ultimo anno di contratto e, alla fine di quella stagione, desiderava trasferirsi a fine stagione all’USL Dunkerque, una squadra della seconda divisione del campionato francese. Il Liegi vietò a Bosman il trasferimento, in quanto l’indennizzo proposto dal Dunkerque non era ritenuto sufficiente: all’epoca le squadre che volevano tesserare un calciatore dovevano infatti pagare un indennizzo alla sua squadra, anche se il suo contratto era scaduto.

 Il belga Jean-Marc Bosman (Photo by Getty Images/Getty Images)

Il belga Jean-Marc Bosman (Photo by Getty Images/Getty Images)

Il mancato accordo fra le due società ebbe diverse importanti conseguenze: Bosman venne messo fuori squadra e gli venne ridotto l’ingaggio. Fu allora che il giocatore si decise a far causa contro l’RFC Liegi, contro la federazione calcistica belga e contro il sistema normativo dell’UEFA. Si rivolse così alla Corte di giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo e la disputa si concluse definitivamente cinque anni dopo, più precisamente il 15 dicembre 1995, con una decisione epocale che ha cambiato radicalmente il calcio europeo. La Corte infatti diede ragione a Bosman e stabilì che le procedure usate fin lì dalle società di calcio per gestire la compravendita di giocatori e dei loro contratti costituivano una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, prevista dall’articolo 39 del Trattato di Roma. Da quel momento a tutti i calciatori europei è stato permesso di trasferirsi liberamente da una squadra europea all’altra al termine del proprio contratto, e di firmare un pre-contratto con un altro club nei sei mesi precedenti la scadenza di quello in vigore con la propria squadra. La corte stabilì inoltre, in ottemperanza al divieto di discriminazione tra i cittadini di paesi comunitari, che il limite di giocatori stranieri ingaggiati da un club, non avrebbe più potuto essere applicato ai giocatori comunitari.

La sentenza Bosman è considerata generalmente uno sviluppo positivo del calcio e ciò, parzialmente, risponde al vero in quanto tantissimi calciatori terminavano anticipatamente la carriera a causa del boicottaggio dei loro club di origine. La sproporzione fra gli interessi delle società e gli interessi dei calciatori era pertanto totalmente a sfavore dei calciatori, con i club che potevano persino pensare di rovinare la carriera di un giocatore con condotte simili all’attuale mobbing. Mutatis mutandis, oggi sta accadendo esattamente l’opposto come effetto non voluto di una sentenza (la Bosman) che avrebbe dovuto dare più libertà ai giocatori ma che, invece, ha prodotto una serie di criticità come l’aumento smisurato degli ingaggi e la perdita di autorità dei club. Come se ne esce da un libertinismo di maniera che, purtroppo, arriva a svilire alla radice quel valore supremo che viene, giustamente, considerato, ossia la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità Europea? Risulta viva oggi l’esigenza di apporre delle modifiche allo status quo. Probabilmente FIFA e UEFA dovrebbero studiare un meccanismo che consenta di mettere al sicuro i giocatori minorenni con un contratto che sia superiore all’attuale triennio. I club che formano un giocatore oggi corrono il rischio concreto di vederselo scippare da altre squadre, vedendosi riconosciuto magari un semplice indennizzo che non valorizza il grande lavoro che viene svolto in ordine alla crescita tecnica di un ragazzo sin dai 10 anni. Inoltre, altro aspetto preponderante su cui intervenire, sarebbe opportuno rivedere il massimale di durata dei contratti, andando oltre i 5 anni attuali (in Premier sono 6), bensì dando ai club la possibilità di far firmare nuovi contratti o rinnovi di contratti anche per periodi contrattuali di 7-8 stagioni.

La sentenza Bosman ha certamente cambiato il calcio europeo eliminando un vincolo assurdo ma oggi, dopo tanti anni, si avverte l’esigenza di riequilibrare i rapporti fra i club ed i giocatori che, sapientemente manovrati dai procuratori, giocano contro gli interessi societari della squadra che li paga.

 

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