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editoriali

Reggina TV, l’anima di Luciano Moggi è resuscitata: ed è tornata a parlare del Milan…

Il Milan del 2006 nelle tesi di Moggi

Le presunte verità di Moggi sul Milan: un tentativo di riscrivere la storia dal proprio punto di vista

Redazione DDD

di Max Bambara -

Nel maggio del 2006 Luciano Moggi, appena travolto dallo scandalo di Calciopoli, dichiarò che il calcio non era più il suo mondo e che gli era stata uccisa l’anima. Sono passati quasi 14 anni da quell’evento, eppure l’anima dell’ex direttore generale della Juventus è ancora in ottima forma, tanto che Moggi continua a parlare di calcio urbi et orbi. Lo fa in televisione, nelle emittenti private dove viene frequentemente invitato a “dottorare”, nelle interviste sui giornali e su qualche televisione locale che gli dà voce per mettere in evidenza i suoi pareri e le sue riflessioni. Singolare, molto singolare, per un dirigente che aveva annunciato di aver chiuso col mondo pallonaro, ma in fondo Moggi ha sempre saputo bluffare come un abile pokerista. L’uomo, in realtà, non è cambiato tantissimo. Anzi, uscito dalle tenaglie mediatiche e dalle bardature sottili e stringenti che gli venivano imposte dal ruolo dirigenziale, Luciano Moggi da oltre un decennio parla come un libro aperto, lasciando fluttuare commenti sul calcio attuale e dichiarazioni discutibili sui fatti di Calciopoli, dei quali cui l’ex dirigente juventino fu assoluto protagonista. Proprio relativamente a quell’epoca, Moggi sembra essersi messo in testa di voler riscrivere la storia, con l’obiettivo di narrare gli eventi da un’angolazione differente (la sua), ma decisamente non imparziale. In certe trasmissioni, Moggi è stato persino capace di presentare la sua Juventus come una vittima del sistema (quale?) e di arrivare a dipingere alcuni suoi comportamenti come gesti necessari al fine di tutelare la società che rappresentava (una sorta di eroismo post-moderno).

La fantasia, unita alla prosa apertamente vittimistica, non sono qualità che mancano di certo all’ex dirigente della Juventus che, ascoltato senza contraddittorio, potrebbe persino finire per risultare credibile a qualche uditore poco accorto e scarsamente informato sui fatti. Esattamente qualche giorno fa, Moggi ha rilasciato un’intervista all’emittente locale Reggina TV, nella quale si è lasciato andare ad un’accusa abbastanza pesante nei confronti del Milan. Queste le sue parole: “il 30 aprile del 2005 c’era Fiorentina-Milan. Il Milan lottava con la Juventus per vincere il campionato ed eravamo a pari punti e la Fiorentina lottava per non retrocedere. Ovviamente, come tutti i dirigenti delle squadre di calcio, trovandosi in queste condizioni, avremmo avuto piacere che il Milan avesse trovato pane per i suoi denti a Firenze. L’arbitro era De Santis. Il sabato prima della partita un’intercettazione ci racconta che Meani, l’addetto agli arbitri del Milan, telefona a De Santis e gli dice: «Non ammonire Kakà e Nesta, perché sono diffidati e domenica dovremmo giocare con la Juventus a Milano». Era una partita da ufficio inchieste e da retrocessione del Milan.”.

In realtà Luciano Moggi non ha svelato nulla di nuovo, dato che l’intercettazione uscita dal suo cilindro è stata da sempre sottoposta al vaglio degli inquirenti, sia sul piano sportivo, sia sul piano della giustizia ordinaria. L’ex dirigente della Juventus ha semplicemente manipolato una vecchia intercettazione per adattarla alle sue tesi complottiste, in cui la Juventus era vittima di un sistema atto a favorire il Milan di Berlusconi (che però, caso strano, perdeva regolarmente gli scudetti…) e lui da dirigente avveduto cercava soltanto di difendere il suo club. L’aspetto singolare della vicenda, l’ennesimo, è che nessun ospite della trasmissione Reggina TV abbia avuto l’ardire di interrompere Moggi, al fine di contestare parecchie inesattezze. Volute o forse no. In primo luogo, nell’intercettazione discussa (peraltro facilmente reperibile in rete), Leonardo Meani non chiese mai a De Santis di non ammonire Nesta e Kakà. Meani fece solo presente a De Santis che ammonire il diffidato Nesta per episodi non chiari lo avrebbe esposto a contestazioni, cosa probabile visto il clima di veleni che si era venuto a creare in quel campionato. Meani inoltre, nel contesto della telefonata, non fece mai menzione di Kakà, il quale non era nemmeno diffidato e, nonostante l’ammonizione rimediata poi contro la Fiorentina, fu regolarmente in campo nella partita contro la Juventus di una settimana dopo. In seconda istanza, può essere contestabile, in linea generale, la telefonata di un tesserato ad un arbitro e la relativa discussione su argomenti di campo, ma bisogna contestualizzare il fatto, ricordando che furono proprio i due designatori nel 2004 a chiedere pubblicamente ai dirigenti delle squadre di contattarli in caso di dubbi, al fine di evitare troppe proteste sui media.

Al di là di questo tuttavia, ci sono dei fatti che andrebbero pesati e che Moggi, con estrema arguzia, finge di ignorare, trovando complici silenzi in trasmissioni televisive sin troppo accondiscendenti nei confronti dell’ex dirigente. La sua Juventus non venne retrocessa in Serie B a causa di una congiura di palazzo, bensì perché un suo dirigente, proprio Moggi, venne pizzicato al telefono con i designatori a fare la griglia arbitrale e perché venne dimostrato che lo stesso Moggi distribuiva schede telefoniche svizzere (anti-intercettazione) ad alcuni arbitri. Questi due fatti, in un ordinamento indiziario come quello sportivo, potevano condurre la Juventus ad una doppia retrocessione dalla Serie A alla Serie C, tanto che l’avvocato del club torinese “patteggiò” una Serie B con penalizzazione, utile a permettere alla società bianconera un pronto ritorno in massima serie già nel giro di nove mesi.

Strano che nessuno abbia avuto il coraggio di chiedere a Moggi come mai la sua Juventus, all’epoca, accettò il patteggiamento se i vertici della proprietà pensavano che il suo comportamento fosse corretto o, comunque, difendibile. La retrocessione in Serie B non fu una passeggiata di salute, semmai fu un vero e proprio salasso economico che portò il club a vivere un ridimensionamento sia dal punto di vista finanziario (il fatturato scese da 250 a 180 milioni di euro in un anno, nonostante le plusvalenze milionarie) e sia sul piano patrimoniale (cessioni inevitabili di giocatori importanti). La Juventus inoltre ebbe danni ingenti anche sul piano borsistico visto che le azioni del club fra il 2006 ed il 2007 arrivarono a valere poco più di 1 euro (più precisamente 1,3 euro), laddove invece nel 2001, al momento della quotazione del club in Borsa, un’azione del club sfiorava i 4 euro (circa 3,7 euro). Secondo qualche complottista in servizio permanente ed effettivo, la famiglia Elkann scelse di andare in Serie B pur di liberarsi di Moggi e Giraudo, ma questa tesi appare debole sul piano argomentativo, sia perché i dirigenti sono sempre licenziabili in qualsiasi momento e sia perché nessun imprenditore avveduto va incontro ad un crollo economico di tali proporzioni per ragioni meramente personali.

In riferimento invece alla posizione del Milan nel calderone di Calciopoli, va poi messo agli atti come Moggi, nei suoi tentativi fantasiosi ma molto goffi di riscrivere la storia, abbia volutamente dimenticato due questioni importanti, capaci di dare l’esatta dimensione della vicenda anche nei suoi aspetti più kafkiani. In primis la posizione del Milan come società nel processo madre a Napoli (a differenza degli altri club coinvolti in Calciopoli) non venne ritenuta passibile di giudizio, dato che si concluse tutto con una archiviazione. In sede penale andò a giudizio soltanto Leonardo Meani che rispose di alcune sue condotte a titolo personale e non nella qualità di dirigente del Milan (era solo un dipendente). In secondo luogo, Moggi ha “volutamente dimenticato” di distinguere la figura del dirigente con potere di firma, da quella del semplice tesserato all’interno di un club. I comportamenti del primo possono arrivare ad integrare la responsabilità diretta per un club, mentre i comportamenti del secondo possono arrivare soltanto ad integrare la responsabilità oggettiva. Ed infatti l’A.C. Milan, in relazione agli avvenimenti di Calciopoli, ascrivibili unicamente alla condotta del tesserato Leonardo Meani, si vide infliggere una condanna di ben 38 punti di penalizzazione, spalmata addirittura su due campionati (30 sull’anno precedente 2005-06 e 8 su quello successivo 2006-07).

Stiamo parlando di un vero e proprio mostro giuridico senza proporzioni, anche in rapporto agli altri casi di condanna per responsabilità oggettiva presenti nell’ordinamento sportivo italiano (antecedenti e successivi). Citiamo solo un caso simile (ed uno dei più severi fra l’altro), che è però utile al fine di rendere chiara l’assoluta mancanza di equità da parte della giustizia sportiva. Nell’estate del 2011, esattamente cinque anni dopo Calciopoli, l’Atalanta prese 6 punti di penalizzazione da scontare soltanto su un campionato (il 2011-12), nonostante un suo tesserato (Cristiano Doni) avesse aggiustato il risultato di una partita (Atalanta Piacenza), integrando così gli estremi dell’illecito sportivo. In merito alla valutazione della condotta di un tesserato del club, ci sono stati ben 32 punti di differenza nell’attribuzione della penalità fra il Milan e l’Atalanta, nonostante sul piano penale la posizione di Doni fosse nettamente peggiore rispetto a quella di Meani (venne poi provato che l’ex centrocampista dell’Atalanta era finito in un giro di scommesse clandestine). Quando Moggi sostiene pubblicamente che il Milan dovesse essere retrocesso per i fatti di Calciopoli, cristallizza sia un falso storico e sia bestialità giuridica. L’unico elemento incontestabile, fatti alla mano, è che il club rossonero ha subito, suo malgrado, una condanna per responsabilità oggettiva totalmente sproporzionata e che mai più ha trovato applicazione per casi simili.

Fra i fatti accaduti e le bizzarre tesi di Moggi continua ad esserci una differenza sostanziale che nessuna “storiografia di bandiera” potrà mai cancellare; anche se conviene continuare a tenere le antenne sempre alzate ed a rimarcare con forza gli avvenimenti dato che, per citare Goebbels, “ripetere una bugia un milione di volte è il modo migliore per farla diventare una verità”.

 

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