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Sacchi-Pioli, il derby fra ideologia e pragmatismo

CARICA PIOLI
Perplessità e dubbi sulle critiche di Arrigo Sacchi in merito alle ultime scelte tattiche di Stefano Pioli

Redazione DDD

di Max Bambara -

Appena tre giorni fa, dalle colonne prestigiose della Gazzetta dello Sport, Arrigo Sacchi non ha espresso un giudizio molto positivo sul Milan ed è stato abbastanza critico sulle ultime scelte tattiche portate avanti da Stefano Pioli.  “Il Milan, nella passata stagione, ha stupito tutti vincendo con merito lo scudetto proponendo un calcio divertente e moderno. Poi è successo qualcosa che non era difficile da prevedere: la sindrome del successo ha bloccato la squadra”. Questa prima parte di ragionamento è decisamente condivisibile. In parte spiega anche le ragioni di un Milan che non è riuscito, nella stagione in corso, a fare quello step in più sul piano del gioco e dell’evoluzione.

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Quella che Sacchi chiama “sindrome del successo” è il classico momento in cui una squadra inizia a pensare di poter vincere le partite con minore fatica. Non è un ragionamento consapevole, bensì un meccanismo mentale che attiene all’inconscio e che Sandro Tonali, in una sua intervista di metà agosto, aveva fatto notare con garbo, ma con assoluta sincerità. Quando vinci tendi a rilassarti e l’ebbrezza della vittoria ti toglie quel furore agonistico che ti consente di fare la corsa in più e che ti fa provare piacere quando il tuo livello di abnegazione sul campo raggiunge picchi elevatissimi.

Sacchi-Pioli, il derby fra ideologia e pragmatismo- immagine 2

C’è poi però la seconda parte delle considerazioni di Arrigo Sacchi che sono lodevoli dal punto di vista astratto ma che, nel concreto, colgono poco il punto fondamentale della questione che non può essere soltanto di natura ideale.  “Anche Pioli ha cominciato ad aver paura e, per rimediare e fermare l’emorragia, si è affidato alla tattica. Il tatticismo, in Italia, paga ancora, ma ci si ricordi sempre che, di fronte a uno stratega, un tattico perde sempre. Pioli è stato l’architetto che ha disegnato la splendida creatura della passata stagione e ha saputo vincere attraverso l’intelligenza e le idee. Mi auguro che si ritorni su quella via e lo si può fare soltanto se si crede fermamente nelle proprie idee”. Su questo secondo aspetto siamo decisamente meno d’accordo con Arrigo Sacchi pur essendo, chi scrive, un sacchiano convinto. D’altronde chi è milanista ed è nato all’inizio degli anni 80, come potrebbe non essere un sacchiano quasi ortodosso?

Eppure c’è un aspetto delle tesi di Sacchi che è difficile da condividere. Arrigo, nella sua grandezza, non considera il fatto che una squadra non possa avere lo stesso livello di tenuta atletica nel corso di una singola stagione. Il Milan a gennaio si è presentato alla ripresa del campionato con le pile scariche dal punto di vista fisico, perché troppi dei suoi uomini fondamentali erano fuori condizione. Continuare sulla strada dello stesso modulo di gioco, nonostante le batoste subite sul campo, più che coerenza poteva apparire presunzione assoluta. Non ha sbagliato pertanto, Stefano Pioli, ad optare per uno schieramento tattico più accorto e per una strategia di gara meno spregiudicata. L’allenatore del Milan si è rifugiato in scelte tattiche diverse, ma non è diventato un tatticista.

Un tecnico deve prima occuparsi del bene della squadra e soltanto dopo deve pensare a rimanere fedele alle proprie idee. Perché le idee possono anche essere bellissime ma se, in un dato momento, non sono realizzabili, rischiano di diventare un sepolcro imbiancato. Se un errore ha commesso Stefano Pioli è stato semmai quello di correggere la rotta della nave rossonera con tre settimane di ritardo, proprio per non rinunciare alle proprie idee di calcio. Idee che ci sono, rimangono apprezzabili e continuano a far parte del patrimonio genetico della squadra, ma che non possono diventare un altare pagano sul quale mandare al macero gli interessi del club (la qualificazione alla Champions League).

Peraltro il Milan non è diventato una squadra difensiva, speculativa o addirittura “cholista”. Ha semplicemente adottato alcune contromisure necessarie e non procrastinabili. Perché Pioli avrebbe dovuto continuare a giocare uomo contro uomo a tutto campo se la squadra fisicamente, in questo momento, non lo reggeva? Ad avviso di chi scrive avere un piano B dal punto di vista tattico è soltanto un arricchimento per una squadra. Saper giocare in almeno due modi diversi è una ricchezza, non di certo un demerito.

Nella storia del calcio moderno ci sono soltanto due casi in cui l’ideologia ha prevalso sul pragmatismo: il Milan di Arrigo Sacchi ed il Barcellona di Pep Guardiola. Si tratta di due squadre epocali che hanno avuto il miglior Marco Van Basten ed il miglior Lionel Messi della carriera. Fuori da questi due esempi, l’ideologia, vissuta in senso assoluto, ha sempre finito per andare a sbattere contro il muro della realtà.

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