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FFP ATTO SECONDO

Salary Cap e Luxury Tax: ecco come il nuovo FFP favorirebbe sempre il PSG

NYON, SWITZERLAND - SEPTEMBER 18:  UEFA General Secretary Gianni Infantino (L) speaks during a press conference as UEFA Head of Communications David Farrelly looks on following the Executive Committee meeting at the UEFA headquarters, The House of European Football, on September 18, 2014 in Nyon, Switzerland.  (Photo by Harold Cunningham/Getty Images for UEFA)

I danni del FFP: la discrasia fra l’evidenza del mercato e la presunzione delle norme

Redazione DDD

di Max Bambara -

Il Comitato esecutivo dell’Uefa, un anno fa, ha sospeso il Fair Play Finanziario, allentando le restrizioni ed approvando delle misure di emergenza che rinviano di un anno le valutazioni sull’esercizio di bilancio chiuso nel 2020. In sostanza, al fine di valutare se un club rientra o meno nella break even rule – che impone di raggiungere il pareggio di bilancio o sforare entro certi limiti previsti – si calcola la media dei deficit del 2020 e del 2021. Tuttavia, secondo una verosimile ricostruzione del New York Times, il nuovo FPF dovrebbe basarsi sul Salary Cap e sulla Luxury Tax (chi supera i tetti imposti paga una multa e riceve meno premi UEFA). Appare presumibile quindi che chi oggi spende già sa che, anche col nuovo FFP, sarà in regola. In questo modo il PSG, gestito da un fondo che fa capo direttamente allo Stato del Qatar, diventa il protagonista quasi esclusivo sul mercato visto che l’Uefa è stata piuttosto morbida con la proprietà qatariota del club. Tutti sanno che il FPF è una normativa che impone ai club di non spendere più di quanto incassano, senza superare determinate soglie. Ci sono state però in questi anni due eccezioni, ossia due club detenuti da stati sovrani che possono eludere questa normativa tramite una serie di sponsorizzazioni fittizie, come quelle in vigore tra il PSG e alcune aziende legate al Qatar.

 (Photo by Harold Cunningham/Getty Images)

Nel 2019, proprio il New York Times ha rivelato che la Uefa ha rinunciato a indagare sulle spese fuori controllo del club parigino. L’indagine del massimo organo calcistico europeo si era avvalsa della consulenza dell’agenzia Octagon Worldwide, che aveva valutato il contratto più remunerativo per i francesi circa 5 milioni di euro.  Lo stesso accordo commerciale è stato invece valutato dal PSG, con la consulenza dell’agenzia Nielsen, una cifra vicina ai 100 milioni di euro, che è stata poi la quota iscritta a bilancio. Perché l’Uefa si è fermata dinanzi a queste discrepanze così evidenti? Secondo il Times lo ha fatto per facilitare la vita del club francese in virtù dei rapporti tra l’organo di governo del calcio europeo e BEIN Media Group che ha investito miliardi di euro per acquistare i diritti televisivi dell’Uefa e di altri partner. I fatti dicono che, in questi anni, il Fair Play Finanziario ha funzionato solo a metà, o solo per qualcuno. In teoria il regolamento prevedeva sanzioni sportive di un certo peso, come l’esclusione dalle competizioni internazionali, per chi violava le regole. Ma la Uefa è stata severissima con alcuni club, morbidissima con chi aveva alle spalle uno stato sovrano. Identiche particolari modalità di approccio d’altronde, vi sono state con il Manchester City, di proprietà dell’Abu Dhabi United Group for Development and Investment, controllato dallo sceicco Mansour bin Zayed.

A febbraio 2020 il club inglese era stato sanzionato con una pena piuttosto severa: due stagioni senza coppe per violazione del FPF. Il 13 luglio 2020 il Tas di Losanna ha invertito la decisione e riammesso il City alle competizioni. La squalifica è stata annullata ed è stata sostituita dall’UEFA con un’ammenda da 10 milioni di euro, una specie di buffetto leggero per la squadra inglese. Il verdetto del Tribunale svizzero dice che non c’erano prove sufficienti per confermare le sanzioni irrogate. L’UEFA infatti aveva indicato un “finanziamento occulto” che metteva in dubbio sia la provenienza e sia la legittimità di alcuni contratti di sponsorizzazione utilizzati per coprire le perdite finanziarie e raggiungere il pareggio dichiarato tra il 2012 e 2016. La questione di fondo pertnato continua ad essere legata ad una pretesa luciferina da parte dell’UEFA, ossia quella di controllare il mercato e garantire pari condizioni a tutte le squadre che partecipano alle competizioni europee. Avendo tali intenzioni, dichiarate fin dal 2007, trovato dei riscontri così antitetici nei fatti, non è possibile continuare ad insistere nella folle credenza delle norme risolutori, atte a migliorare una situazione. Applicare, peraltro, principi tipici delle leghe americane (per esempio il Salary Cup) a squadre che appartengono a paesi diversi, con regimi di tassazione diversa, in cui si applicano leggi disomogenee e con regolamenti interni (vedasi federazioni) nemmeno comparabili, non può essere una buona soluzione.

L’unica soluzione per uscire dall’impasse attuale è quella di tornare alla legge del libero mercato, lasciando che i club siano liberi nelle spese e nella capacità di contrarre debito. L’unico motivo di esclusione dalle coppe europee dovrebbe essere soltanto la presenza, al 1° luglio di ogni anno, di debiti scaduti. In claris non fit interpretatio dicevano i latini. Meglio la diseguaglianza figlia del libero mercato che l’attuale sistema pasticciato in cui due club possono eludere il rispetto del pareggio di bilancio con sponsorizzazioni gonfiate e, in alcuni casi, nemmeno provabili, mentre gli altri devono far di conto al centesimo per rispettare una normativa che, ormai, non ha più ragione d’esistere.

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