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Saper aspettare, saper variare: due verbi preziosi per il futuro del Milan

Saper aspettare, saper variare: due verbi preziosi per il futuro del Milan - immagine 1

Il Milan deve cercare di essere meno frenetico nel modo di attaccare la porta degli avversari

Redazione DDD

di Max Bambara -

Tutto l’ambiente milanista deve moltissimo a Stefano Pioli: il tecnico emiliano, in due anni di lavoro, ha cambiato la dimensione rossonera, trasformando il Milan da progetto tecnico vago ed inespresso a collettivo forte, capace di essere squadra vera, con una identità marcata e riconoscibile, nel solco della più autentica tradizione del club che ha sempre provato ad arrivare ai risultati tramite un gioco piacevole. I meriti dell’allenatore rossonero sono pertanto assoluti e notevoli; vanno rimarcati a più riprese anche nei momenti in cui qualche risultato non è positivo e qualche ombra si annida sulla sua testa. Ciò però non deve togliere spazio all’analisi che, proiettata su un percorso ormai biennale, non può non evidenziare qualche inevitabile smagliatura sulla quale è opportuno lavorare in un’ottica di crescita e di costruzione del Milan. Le prestazioni dell’ultimo periodo hanno un minimo comune denominatore: il Milan fa fatica contro avversari che riescono a rimanere alti (o comunque a non abbassarsi troppo), togliendo profondità alla manovra rossonera e che adottano contromisure sull’uscita palla molto raffinata che la squadra di Stefano Pioli prova a fare. La gara dell’Olimpico contro la Roma è stata forse, dal punto di vista tecnico, uno dei momenti più alti dei picchi di gioco raggiunti dal Milan negli ultimi due anni. La Roma per i primi 65-70 minuti non l’ha quasi mai vista e la decisione di Mourinho di aspettare il Milan si è rivelata mortifera per i giallorossi perché la squadra rossonera, contro avversari che non aggrediscono e che danno campo, ha ormai la maturità e la padronanza per disporre a piacimento della partita.

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Da quel giorno tuttavia, i meccanismi del Milan hanno subito una battuta d’arresto non solo per i risultati altalenanti ottenuti nell’ultimo mese e mezzo, bensì soprattutto per la difficoltà del Milan ad avere un piano B di attacco della difesa avversaria quando gli stessi adottano le contromisure dovute, inaridendo le fonti di gioco rossonere. Degli ultimi 9 gol subiti dal Milan in campionato, ben 6 nascono da palloni persi in maniera improvvida dalla squadra di Pioli in fase di uscita. Il primo rigore del derby, la palla persa da Theo Hernandez con la Fiorentina in occasione del quarto gol viola, il gol di Scamacca nato da una palla persa da Bakayoko, l’autorete di Kjaer in seguito ad un corner nato da un pallone perso da Bennacer, il gol di Berardi nato da una palla persa da Kessié, il gol di Beto figlio di un doppio errore di lettura (Bennacer) e di postura (Bakayoko) nella stessa azione. Sono troppe le reti regalate, con gentili omaggi, agli avversari; reti subite che non possono essere derubricate a situazioni episodiche, perché non sono isolate e perché, comunque, indicano una tendenza, oltreché un limite, molto preciso da parte della squadra rossonera.

Stefano Pioli, adesso, è quindi chiamato ad aggiungere contenuti alla proposta di gioco del Milan. Deve farlo coniugando due verbi: aspettare e variare. Saper aspettare è fondamentale nella Serie A italiana. Se giochi sempre a mille all’ora il rischio dell’errore è dietro l’angolo, soprattutto in periodi di calo fisico, contro allenatori e squadre particolarmente evoluti. Quando la partita viene impastata dagli avversari, l’obiettivo del Milan deve essere controllarla senza prendere gol. Aggredire gli avversari non è sempre cosa buona e giusta perché nei 30 minuti finali di ogni gara, i tatticismi si allentano ed il Milan ha la forza per colpire gli avversari. Di concerto comunque, Pioli è chiamato a variare qualcosa nell’azione offensiva del Milan. Il problema fondamentale, contro linee difensive che scelgono di difendere alte, applicando sistematicamente la tattica del fuorigioco, è la leggibilità della chiamata della profondità da parte di Ibrahimovic. Forse è necessario togliere alla difesa avversaria la comodità di avere un unico riferimento; contestualmente si potrebbe attaccare la linea difensiva avversaria con meno fraseggi e con più inserimenti senza palla dei centrocampisti sul primo movimento di Ibra. In questo contesto, una variazione del modulo dal 4-2-3-1 al 4-3-3, con Kessié e Krunic liberi di inserirsi alle spalle del numero 11 rossonero, potrebbe rappresentare una valida contromisura ai tatticismi, a volte esasperati, degli allenatori avversari. Lo step finale è di carattere mentale: i giocatori del Milan devono entrare nell’ottica che qualche fallo tattico con annessa ammonizione, unitamente a qualche palla buttata fuori quando si è sotto pressione, non sono un’onta di cui vergognarsi, bensì una dimostrazione di intelligenza calcistica, visto che i momenti della partita vanno saputi leggere e visto che difendere la propria porta con ferocia è condizione indispensabile se si vuole pensare di poter ambire a vincere il campionato in Italia.

 

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