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LA FINALE DI COPPA E LA VOLATA FINALE

Scudetto fra Milan e Inter, non molla nessuno

Redazione DDD

Il Milan fatica ad alzare la voce ma...

analisi di Roberto Beccantini per Eurosport.it -

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A questo punto del safari, con i cacciatori esausti e la preda che si agita fra i cespugli, la mira diventa tutto. Mi perdonerà la confraternita di Arrigo, ma qui è lo scudetto e qui bisogna ghermirlo: non importa come. Milan-Fiorentina è stata battaglia, l’ha decisa un rinvio sbilenco di Pietro Terracciano, domato e tradotto da Rafael Leao, che di gol se n’era già mangiati un paio (come, in un caso, Olivier Giroud). Primo attaccante del Diavolo in doppia cifra, il portoghese. A conferma di un dato inoppugnabile: la rosa dell’Inter era, e rimane, più forte. Stefano Pioli è stato bravo a trasformare il futuro in presente. Lascia che Mike Maignan rinvii lungo senza offendersi, o offenderlo; ha affidato le chiavi del centrocampo a Sandro Tonali; continua a centellinare le cicatrici e i tesori di Zlatan Ibrahimovic: prezioso, all’Olimpico, per la sponda del 2-1 di Tonali; sdoganato, a San Siro, poco prima della svolta. Fatica ad alzare la voce, il Milan, ma cerca sempre di governare. Buon segno, la firma di Leao: l’elemento più raffinato, anche se, domenica, non proprio al massimo.

Reduce da poker dell’Udinese, la Viola di Vincenzo Italiano ha avuto le sue occasioni (la più golosa con Arthur Cabral, sventata da un miracolo di Maignan) e per un tempo è stata all’altezza della trama e delle ambizioni. Salvo calare nella ripresa, sotto la schiuma e le onde della marea avversaria e di un Theo che aveva l’unico torto di voler strafare. Non mollava il Milan, non molla l’Inter. Passa di slancio a Udine (2-1, capocciata di Ivan Perisic, il più brillante, e tap-in su rigore di Lau-Toro Martinez) e rimanda la sentenza capitale. Ha la miglior difesa e il miglior attacco, eppure deve inseguire. Giocava dopo, sapeva che i rivali avevano vinto, ha domato la pressione, è calata, come a Bologna, ma ha tenuto duro. Tornava Samir Handanovic, e chissà che non abbia riportato la serenità "tradita" dalla papera di Ionut Radu. Rientrava, con il capitano, Edin Dzeko e al posto di Hakan Calhanoglu, squalificato, c’era Roberto Gagliardini.

Se il Milan ha sofferto per sbloccare il risultato, l’Inter, a Udine, ha tribolato - relativamente - per conservarlo. La squadra di Gabriele Cioffi, un mix di tromboni e violini, veniva dal 4-0 del Franchi. In una tonnara del genere le avrebbero fatto comodo la profondità di Beto e le bombole di Jean-Victor Makengo. I campioni hanno offerto la prova di carattere e di gioco, almeno in parte, che chiedeva Simone Inzaghi. Alla ripresa, fra la rete del k.o. sciupata da Dzeko e i "canonici" cambi, qua e là hanno ripreso quota i fantasmi di Bologna, liberati dal guizzo di Ignacio Pussetto. Grossi problemi, però, mai. Morale della favola: lo scudetto resta lì, appeso al classico filo. Venerdì tocca all’Inter, al Meazza, contro un Empoli satollo e anche per questo in picchiata. Domenica sarà il turno del Milan, atteso dalla "fatal" Verona. Ecco allora ribaltarsi gli equilibri psicologici. Persino in Premier se ne fregano della contemporaneità: peccato. Pioli ha il vantaggio della classifica e dei confronti diretti (1-1, 2-1): gli garantiscono il bonus di un pareggio. Non è tutto, non è poco. Inzaghino, lui, gode di un calendario globalmente meno feroce, al netto dell’epilogo di coppa con la Juventus (11 maggio). Cruciali saranno i nervi, oltre che gli organici e le conoscenze tecnico-tattiche. Senza trascurare la fame dei rivali.