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Sinisa Mihajlovic, il primo uomo sulla… Luna dopo la fine del lockdown

La foto della ripresa

Un’immagine iconica: la corsa di Sinisa rappresenta una grande lezione che non ha bisogno di parole

Redazione DDD

di Max Bambara -

Descrivere le emozioni non è mai semplice. Si rischia di essere banali. Ci sono immagini però che rimangono nella nostra mente e che danno impulsi al cervello e all’anima. Ci fanno riflettere più di mille parole sciorinate per convincerci di un concetto o di un’idea. A volte sono fulminanti. Da certe immagini la nostra mente può trarre insegnamenti preziosi e può soprattutto recepire un messaggio cristallino e senza filtri, perché sono la rappresentazione perfetta di un qualcosa di veramente significativo. Nella storia dell’ultimo secolo tutto questo è avvenuto tante volte e spesso per eventi epocali. Basti pensare alla prima immagine dell’uomo sulla luna, oppure alla celebre fotografia dei Beatles che attraversano Abbey Road, o anche all'immagine del marinaio che bacia un'infermiera a Times Square.

Alcune immagini insomma sono straordinariamente iconiche e rimarranno come flash indelebili nella nostra mente, dandoci spunti, fornendoci esempi, riuscendo a veicolare un messaggio forte connesso alla grandezza e, nel contempo, alla speranza. Anche due giorni fa è successo qualcosa di simile nel piccolo universo del calcio che, da sempre, a suo modo riesce a fornire spunti pregevoli a coloro che amano questo meraviglioso sport e lo interpretano come metafora della vita. Non è stata un’immagine epocale, ma è stata illuminante nella sua portata iconica in un momento storico di ricostruzione per l’Italia. Il protagonista inconsapevole è stato l’allenatore del Bologna Sinisa Mihajlovic, il quale nel centro sportivo di Casteldebole ha ripreso ad allenarsi da solo, con la tuta del suo club e i pantaloncini corti, senza nessuna paura di mostrare il cranio scoperto, dove sono evidenti i segni della sua grande battaglia.

In quella corsa ci sono tanti significati: c’è un messaggio al popolo italiano che ha ancora troppa paura di ripartire dopo l’emergenza pandemica del COVID 19. Lui, Sinisa, è invece già ripartito, dando un calcio in faccia a non solo al virus ma anche alla leucemia. C’è poi un inno alla vita che, anche nei momenti meno belli, va vissuta a testa alta. E c’è, soprattutto, la celebrazione del coraggio. Tante volte usiamo espressioni forti per dare l’esatta dimensione di questa virtù. Sinisa invece ci ha fornito un mirabile esempio di cosa sia davvero questo “aver le palle” che in tanti abusano dal punto di vista verbale come espressione ricorrente, ma in pochi sanno davvero spiegare nel senso più profondo. Non è la prima volta in assoluto in cui il tecnico serbo è riuscito a fare questo. Mi è capitato di pensarlo anche dieci mesi fa, quando mi trovavo casualmente in macchina ed ho ascoltato alla radio la sua conferenza stampa in cui annunciava di essere affetto da leucemia. Fu un tuffo di dolore al cuore.

Non ho potuto vedere in presa diretta le smorfie del suo viso, ma dal tono della sua voce ho avvertito in maniera nitida quanto difficile e complesso fosse quel momento per lui che mai nella vita aveva mostrato debolezze o timori. E mentre mi passavano fra la mente tutte le immagini che avevo del Sinisa senza paure, legate alla sua vita da calciatore e al suo percorso da allenatore, subito venivo colpito da una sua frase in cui spiegava l'importanza della prevenzione. Incredibile: in un momento così complicato della sua esistenza, Sinisa riusciva a trovare il coraggio per fare una conferenza stampa e pensare anche agli altri, a quei comuni mortali che, magari, hanno un concetto di prevenzione sbagliato, per i quali un prelievo del sangue di routine non è necessario.

Ed invece Mihajlovic lo ha voluto dire con forza e con estrema chiarezza, nel momento più difficile della sua esistenza: la prevenzione può salvare la vita. Facile dirlo in una pubblicità progresso, quasi impossibile riuscire a farlo quando hai ricevuto una diagnosi così pesante solo poche ore prima. Ancora più significativo però è che Sinisa abbia scelto di farlo da persona famosa che non ha tradito alcun pudore nel rivelare al mondo la sua malattia. Sentiva di farlo perché capiva che era giusto farlo. Il senso più profondo e reale della vita, d’altronde, è tutto qui. In un'epoca in cui valori premiali come coraggio e umanità vengono brutalmente violentati sull'altare delle convenienze dialettiche, sociali o politiche, Sinisa era stato capace di mostare a tutti che cosa significa essere uomini, pensare agli altri, non aver il timore di mostrarsi deboli.

Una lezione da grande protagonista dello sport, da uomo che sa cosa siano i veri valori della competizione e che accetta la vittoria e la sconfitta come lati inevitabili di una stessa medaglia. Nel calcio e, di concerto, anche nella vita. Non è casuale quindi che, circa dieci mesi dopo, in tanti siano stati rapiti da quella bellissima corsa su un prato verde, di un uomo genuino che non ha paura di mostrare sé stesso, alla faccia dei segni che tanti cicli di chemioterapia possono aver lasciato. In quella corsa c’è tutta l’essenza e la portata umana di Mihajolovic. Ci dice, senza proferire verbo, che la vita avanti oltre tutto e nonostante tutto e che non possiamo permetterci di avere terrore di ripartire. In un’epoca in cui prevale erroneamente il concetto di paura, Sinisa ha realizzato il suo calcio di punizione più bello.

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