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Una chiave di lettura con lo sguardo al passato: la strategia di Maldini e il ripensamento di Rangnick

BERLIN, GERMANY - MAY 25: Coach Ralf Rangnick of RB Leipzig is seen during a press conference after the DFB Cup final between RB Leipzig and Bayern Muenchen at Olympiastadion on May 25, 2019 in Berlin, Germany. (Photo by Reinaldo Coddou H./Bongarts/Getty Images)

Nessun muro contro muro, ma una strategia per rosolare a fuoco lento il tedesco

Redazione DDD

di Max Bambara -

Per capire i fatti delle ultime ore è necessario riavvolgere il nastro dei ricordi e riascoltare le parole usate da Paolo Maldini oltre due mesi fa, precisamente in data 11 maggio scorso, a proposito del possibile arrivo in rossonero del manager tedesco Ralf Rangnick. L’ex capitano rossonero aveva scelto un profilo mediatico molto diverso rispetto a quello dell’ex compagno ed amico Zvone Boban che, nel febbraio scorso, si era lasciato andare ad un’intervista alla Gazzetta dello Sport estremamente pesante nei confronti della proprietà del Milan. Maldini invece ha optato per una strategia di logoramento dell’avversario (perché Rangnick era colui che insidiava il suo posto da dirigente operativo), sempre rispettosa e mai offensiva verso la proprietà americana né tantomeno verso l'amministratore delegato del club. A Maldini non interessava andare al muro contro muro con il fondo Elliott ed infatti, in quella circostanza, era stato estremamente attento a ponderare le sue critiche, con l’obiettivo di tutelare mediaticamente il lavoro della parte sportiva del club, unitamente a quello dello staff tecnico.

Paolo Maldini poco prima di Sassuolo-Milan

L'obiettivo di Maldini era stato soltanto il manager tedesco Rangnick, "colpevole" secondo lui di parlare con troppa disinvoltura del suo futuro (o futuribile) club, in un momento in cui la stagione era ancora in corso: "Rangnick, parlando di un ruolo con pieni poteri gestionali sia dell'area sportiva che di quella tecnica, invade delle zone nelle quali lavorano dei professionisti con regolare contratto. Avrei dunque un consiglio per lui, prima di imparare l'italiano dovrebbe dare una ripassata ai concetti generali del rispetto, essendoci dei colleghi che, malgrado le tante difficoltà del momento, stanno cercando di finire la stagione in modo molto professionale, anteponendo il bene del Milan al proprio orgoglio". All’epoca queste parole vennero forse troppo facilmente classificate come semplice fastidio; ed invece era soltanto l’inizio di una strategia molto precisa, con cui l'attuale responsabile dell'area tecnica del Milan, è riuscito ad ottenere due risultati molto importanti.

In primis, non ha minimamente criticato i suoi superiori gerarchici e i proprietari del club (così come fatto invece incautamente da Boban), non dando loro alcun appiglio per un possibile licenziamento o per un immediato richiamo agli ordini. Dall’altra parte dell’oceano invece la famiglia Singer ha potuto notare un dirigente operativo pronto a spendersi pubblicamente al fine di difendere tutta la società e tutta la squadra da qualche refolo di vento non autorizzato proveniente dalla Germania da parte di un aspirante direttore tecnico deciso a chiedere i pieni poteri. In sostanza Maldini non ha commesso lo stesso errore di Boban. Ha saputo semmai ragionare sull’errore di Boban. Non c’è stata nessuna richiesta di pieni poteri né alcun aut aut pubblico, aspetti a cui gli americani sono da sempre allergici per una questione storica; è stato invece rimarcato pubblicamente il lavoro d’equipe, tutelandolo con dichiarazioni mirate. Inoltre, e questo è l’aspetto più interessante riletto alla luce del dopo, Maldini in quel momento ha mandato un messaggio velato molto chiaro a Ralf Rangnick ed al suo staff tecnico, facendo intendere che chi attualmente lavorava per il Milan era coperto da contratto e non aveva alcuna intenzione di andare via senza alcun valido motivo.

Una futura convivenza insomma si poteva preannunciare non semplicissima fin dai primordi. Questo è stato probabilmente uno dei motivi che, nel processo decisionale delle ultime settimane, ha orientato Ralf Rangnick verso una scelta negativa per il suo arrivo a Milano. Il manager tedesco ha reputato l’ambiente rossonero non adeguatamente recettivo nei suoi confronti. Inoltre non poteva più giungere a Milanello come il salvatore della patria, visti i risultati nel frattempo ottenuti da Stefano Pioli, sia in termini di vittorie e di punti in classifica, sia in termini di valorizzazione di quasi tutti i giocatori della rosa. D'altronde è sempre stato abbastanza noto come Rangnick pretendesse non soltanto assoluta libertà operativa all'interno del club, ma anche l'assenza totale di tensioni o turbolenze di qualsiasi tipo, condizioni non possibili con una dirigenza alla parte sportiva che, anche se ridimensionata nelle funzioni, difficilmente sarebbe andata d’amore e d’accordo col manager tedesco. Le dichiarazioni rilasciate da Paolo Maldini oltre due mesi fa pertanto, non sono state il frutto di un'arrabbiatura del momento. Sono state semmai parole da dirigente non alle prime armi, scelte con grande ponderazione e finalizzate ad una strategia precisa che, in queste settimane, ha cucinato a fuoco lento le ambizioni di “pieni poteri” di Ralf Rangnick.

 

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