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Diego, il calcio che ci piaceva sognare: l’uomo che è stato troppo anche per sè stesso

BUENOS AIRES,. ARGENTINA - NOVEMBER 25: A fan pays tribute to former football star Diego Maradona who died today on November 25, 2020 in Buenos Aires, Argentina. Diego Maradona, considered one of the biggest football stars in history, died at 60 from a heart attack on Wednesday in Buenos Aires. (Photo by Ricardo Ceppi/Getty Images)

Analisi e approfondimenti

Redazione DDD

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Diego Armando Maradona è stato troppo per tutti, anche per sé stesso. Dimenticarlo sarà impossibile. Ci ha lasciato a 60 anni, l’età che avevamo celebrato non più tardi del 30 ottobre. L’ultimo tango. L’ultimo dribbling. Nato povero, si inventò ricco di talento, così ricco da poter dissipare il sabba che lo circondava e che lui stesso, generoso e infinito, aveva contribuito a costruire. Per me è stato il più grande, più grande persino di Pelé. Gianni Brera lo definì «divino scorfano». Aveva un sinistro ora violino ora coltello; il regolamento, ai suoi tempi, premiava i difensori, e per questo molti, non solo Andoni Goikoetxea, si diedero alla caccia delle sue caviglie. Era un leader naturale in campo e, appena fuori, un seduttore di popoli. Scelse Napoli e la tirò fuori dal medio evo dei luoghi comuni in cui si crogiolava o in cui la tenevamo prigioniera. Vinse un Mondiale quasi da solo - dopo aver battuto, da solo, Inghilterra (di mano e di prodigio) e Belgio - portò al Napoli i primi (e unici) scudetti della storia, la Coppa Uefa, oltre a una Coppa Italia e a una Supercoppa.

(Photo by Rodrigo Valle/Getty Images)

Fatico a scrivere cose che, in suo onore, non siano già state scritte o dette. Bambino, palleggiava negli intervalli delle partite. Adulto, continuò a palleggiare nel cuore delle ordalie più rusticane, dispensatore di una generosità che portò i compagni a perdonargli tutto, droga, donne, eccessi. Faceva vincere: what else? Non è stato un ruffiano in un mondo che, se lo fosse stato, lo avrebbe venerato più di quanto non lo abbia usato, per poi buttarlo quando ritenne che fosse arrivato il momento. I campioni hanno bisogno di una squadra; i geni, di una palla. Ecco perché sono sempre andati d’accordo, almeno loro, almeno per novanta minuti alla settimana. Lo rivedo bambino, tra il fango di villa Fiorito, quei capelli che si sarebbero fatti foresta, quel piede, non meno «de Dios» della mano, che già accarezzava ogni cosa che toccava. Si è tolto molto, ci ha tolto molto. Si piaceva così. Da peccatore a peccatore: grazie, Diego.

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