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MISTER, SE VUOLE UNA SIGARETTA...

DDD Story – Hubner il bisonte, anzi il Tatanka come dicono i Sioux…

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Senza la grappa e senza fumare non sarebbe stato lui...

Redazione DDD

di Luigi Furini -

Provate voi a vincere la classifica cannonieri prima in C, in B e poi in serie A. Provate voi a fumare una Marlboro e bere una birra nell’intervallo di tutte le partite, mentre gli altri vanno a prendere il the caldo. E poi tornare in campo nel secondo tempo e segnare valanghe di gol. Ci vuole stomaco e coraggio. Il coraggio di chiamarsi Dario Hubner, classe 1967, giramondo del pallone, centravanti di razza, uno che le difese le attaccava a testa bassa, come un bisonte. Adesso ha smesso, si gode la pensione e, se proprio si mette gli scarpini è per giocare in porta. Però negli anni ha fatto tremare le difese, ha fatto esonerare allenatori. Ma anche fatto divertire. Come quando nel maggio 2002 il Milan lo chiama per una tournée in America. Lui, a 35 anni, ha appena vinto la classifica cannonieri con il Piacenza. I rossoneri giocano contro l’Ecuador. A fine primo tempo tutti rientrano negli spogliatoi ma Hubner non c’è. “Che fine ha fatto”?, chiede l’allenatore, Ancelotti. “E’ dietro il bagno”, gli risponde il portiere Abbiati. Il mister apre la porta e lo trova, intento a fumare e con il mano una birra.  “Dario che fai, ti stai giocando la conferma nel Milan e vieni a bere negli spogliatoi? Ma come giochi il secondo tempo”?

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Hübner rossonero...

“Mister – gli risponde lui – è una vita che faccio questo, poi riesco a giocare meglio. Per quanto riguarda il Milan, sono venuto solo per farmi pubblicità, sennò a quest’ora ero al mio paese a prendere il fresco. E poi, ultima cosa.. la vuole una sigaretta”?.  A quella battuta si mettono tutti a ridere (compreso Ancelotti). Finita la tournée, Hubner ritorna al Piacenza, e poi all’Ancona, al Perugia, al Mantova. E poi in serie D, fino a smettere nel 2011 a 44 anni suonati. Il cantautore Calcutta gli dedica una canzone. E adesso spiega: “Io certe volte dovrei fare come Dario Hubner. Non lasciarsi a casa a consumare le unghie”. Ma che cosa aveva fatto Hubner di tanto speciale? Intanto aveva rinunciato a un ricco ingaggio al Leeds in Inghilterra, per restare in Italia. E poi aveva rinunciato ai soldi del Brescia (dove l’avevano messo in panchina) per andare al Piacenza. Sempre vicino a casa, si intende. Perché il “Bisonte”, che lui stesso tradurrà in “Tatanka” (dal linguaggio sioux, dopo aver visto “Balla coi lupi”) non si voleva allontanare da Crema. Perché lì aveva giocato nel Pergocrema e quando lo avevano chiamato a Fano, in serie C, era passato a salutare nel ristorante dove era solito mangiare e lì lavorava Rosa, poi diventata sua moglie.

L’hanno sempre definito un “bomber di provincia”, un giocatore ”pane e salame”, incapace di fare il grande salto. Ma il problema è inverso. E’ che lui al grande salto non era interessato. Lo voleva forse l’Inter (che poi prese Ganz e Branca) ma proprio contro i nerazzurri ha segnato il suo primo gol in serie A. Era il 31 agosto 1997. Gli occhi del mondo erano tutti sulla tragica fine  di Diana, moglie del principe Carlo d’Inghilterra. E gli occhi degli sportivi sul debutto di Ronaldo, alla prima di campionato. E invece segna Hubner, che porta in vantaggio il Brescia a San Siro. Era anche il debutto di Pirlo, ma lui preferisce Roby Baggio: “Se giochi al suo fianco ti senti tranquillo, è sempre in grado di inventare qualcosa per tirarti fuori dai guai”. Infine c’è la storia del grappino, bevuto nel corridoio che dagli spogliatoi porta al campo. “Senza la grappa e le sigarette sarebbe stato il più forte”, dicono di lui i tanti allenatori che ha avuto. Ma senza grappa e sigarette non sarebbe stato Tatanka, perché il bisonte, quando attacca a testa bassa, deve essere carico. Provate a chiederlo ai Sioux.

 

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