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LA FRECCIA NERA OGGI HA MALE AL GINOCCHIO

DDD Story – Il derby delle scelte: Herrera punta il dito su Jair, Rocco su Germano

DDD Story – Il derby delle scelte: Herrera punta il dito su Jair, Rocco su Germano

A Jair piaceva fare gol dalla bandierina...

Redazione DDD

di Luigi Furini -

Calcia di destro e finisce a terra, ma alza la testa per vedere dove va il pallone. Peccato, il pallone lo prende il portiere. Ma piove, diluvia su Milano, il prato è scivoloso, la palla una saponetta. E il portiere non trattiene il pallone, che passa fra le sue gambe e finisce in rete. E’ il 27 maggio 1967. Con quel gol, l’Inter vince la sua seconda Coppa dei Campioni. E Jair è portato in trionfo. L’hanno chiamato “la freccia nera”. Lui nasce poverissimo e va a lavorare in fabbrica. La sera si allena con i ragazzi della Portoguesa. Però fa una carriera rapida. Passa in prima squadra e nel 1962 è convocato in nazionale, per i Mondiali in Cile. Ma non vede il campo. Fa solo la riserva di Garrincha. Poi il Brasile viene in tournée in Italia. Ci sono in tribuna Herrera e Rocco. L’allenatore dell’Inter sceglie Jair, il “Paron” preferisce Germano (stella del Flamengo, di due anni più giovane).

Ma tesserare Jair è un problema. Le squadre possono avere in organico solo tre stranieri (ma in campionato ne possono giocare solo due). In nerazzurro ci sono gli spagnoli Suarez e Peirò e l’inglese Gerald Hitchens. Jair sostiene di aver avuto una nonna in Polesine (in questo modo verrebbe tesserato come oriundo), ma le ricerche non danno frutti. E allora bisogna aspettare il mercato di novembre: via Hitchens e dentro il brasiliano.  Tre giorni dopo il suo debutto a Marassi contro il Genoa e solo dopo due minuti il suo gol. Da quel giorno, la maglia numero 7 sarà sua. In Italia è ancora spaesato, si mette a correre e fare capriole ad Appiano durante una nevicata. “Io la neve non l’ho mai vista”, dice. Facchetti lo prende sotto la propria ala. A Jair viene chiesta sola una cosa: correre, correre tanto, mettere palloni al centro e tirare in porta, quando possibile. Lui esegue. Gioca 260 partite e segna 69 gol, vince quattro scudetti, due Coppe dei campioni e due Coppe del Mondo.

“Mamma mia come era veloce – ricorda Guarneri, lo stopper della Grande Inter - ma aveva una fissa: segnare gol dalla bandierina del calcio d’angolo. E mi faceva arrabbiare, perché con Facchetti io andavo a saltare in area”. Nel 1972 lascia l’Inter e l’Italia per tornare in Brasile. Vince ancora un campionato con il Santos, al fianco di Pelé e poi gioca due anni in Canada. Non prova a fare l’allenatore. A Orasco, nel paese dove si era trasferito a soli 8 anni, aiutato dai quattro figli, mette in piedi un centro sportivo che porta il suo nome. Lì dentro, però, non c’è solo calcio. Ci si ferma a mangiare qualcosa, a bere, a chiacchierare. Si fanno partite, ci sono tanti ragazzini, qualche promessa. E poi c’è un televisore collegato con Sky, per guardare il campionato italiano. Quel famoso numero 7, prossimo agli 81 anni, vive lì, aggrappato alla rete, con le ginocchia mal messe, per veder come se la cava la squadra che porta il suo nome. E il gol direttamente dalla bandierina? L’ha fatto qualche volta in amichevole. All’Inter è bastato quello segnato sotto il diluvio. Ma hanno fatto comodo anche i tanti chilometri macinati sulla fascia. Per forza, adesso, gli fanno male le ginocchia.

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