AVEVA IL PALLINO PER IL CALCIO

DDD Story – Il derby di Zaccheroni: dall’Ambrosiana ad Ambrosini…

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Lo Scudetto di Zac o...di Berlusconi?

Redazione DDD

di Luigi Furini -

Suo padre Adamo a Cesenatico voleva costruire un albergo e chiamarlo “Internazionale”. Però ci aveva già pensato Giorgio Ghezzi, detto “Kamikaze”, portiere di Inter e Milan, che aveva comprato un bel pezzo di terra proprio di fronte alla spiaggia. Così, forte della sua passione per l’Inter, la pensione l’ha chiamata “Ambrosiana”. E lui che avrebbe poi vinto anni dopo lo Scudetto sulla panchina del Milan con i gol di "Ambrosini", all'epoca diplomato perito turistico, avrebbe dovuto mandarla avanti. Le cose non sono andate proprio così. Una volta ottenuta una panchina in serie C, la pensione l’ha chiusa.

Niente pensione...

Nella sua testa c’è sempre stato solo il pallone. Ha giocato come terzino in squadre giovanili, poi nel 1970 una malattia polmonare gli ha fermato la carriera.

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Alberto Zaccheroni nasce a Meldola il 1 aprile 1953, ma è ancora piccolino quando la famiglia si trasferisce a Cesenatico (a pochi chilometri). Lui gioca, studia e prima dei 30 anni è già seduto in panchina (Cesenatico, Riccione, Baracca Lugo). Quel mangia allenatori di Zamparini lo vuole al Venezia e lui porta i lagunari in serie B, poi il Bologna e il Cosenza (dove rimonta una penalizzazione di 9 punti). “E’ stato il campionato più difficile della mia vita”, dirà più avanti. E sì che di difficoltà ne ha incontrate. Nel 1998 arriva al Milan. Berlusconi, per quell’anno, pensa che lo scudetto andrà alla Lazio. Invece lo vincono proprio i rossoneri e subito il presidente si intesta la vittoria. “E’ merito mio – dice – perché ho detto a Zaccheroni dove doveva giocare Boban”. Zac (lo chiamano tutti così) lo smentisce e, da quel giorno, la rottura diventa insanabile. Zaccheroni resta in panchina anche l’anno dopo, ma è esonerato nel marzo 2001. “Un sarto distratto – dirà di lui il Cavaliere – può rovinare una buona stoffa”. Come dire che l’allenatore aveva il materiale per fare molto, ma molto meglio. Quindi alla Lazio che porta in Coppa Uefa e, dall’ottobre 2003, all’Inter.

Il padre Adamo non sta nella pelle. Vede il figlio sulla panchina dei nerazzurri e tocca il cielo con un dito. “Ci potevo arrivare anni prima, ma loro poi puntarono su Simoni”, dice al Resto del Carlino. L’amore, però, non dura. In nerazzurro arriva Mancini e lui va al Torino (è l’anno del centenario granata). Dopo alcune sconfitte è esonerato e nel 2006 lo vuole la Juve. Arrivano risultati altalenanti (causa anche molti infortuni) e nel 2010 viene esonerato. E qui viene il bello. Lo vuole la nazionale del Giappone. Lui parte. “Voglio lasciare un’importante eredità”, annuncia. Quando non c’è l’interprete, si arrangia con i gesti. La grande occasione è la Coppa d’Asia 2011. Il Giappone batte l’Arabia Saudita, il Qatar, la Corea del Sud e, in finale, l’Australia. Ci sono feste incredibili e Zaccheroni viene ufficialmente ricevuto dall’imperatore Akihito (si tratta di un onore concesso molto raramente).

La squadra del Sol Levante arriva anche ai mondiali in Brasile (2014). Per Zac, poi, altre esperienze in Asia fino al ritorno a Cesenatico. Qui è suo figlio a prendere in mano l’attività turistica del nonno Adamo. Lui, Alberto, aveva il pallino per il calcio e ha seguito quella passione. Ora, seduto accanto alla statua di Garibaldi (che qui trovò rifugio nel 1849, inseguito dai borboni e dalle truppe francesi), riflette: “Se si potessero unire, Italia e Giappone, darebbero vita al Paese più bello del mondo”. Dai, Zac, sognare non costa niente.

 

 

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