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DIFENSIVISTA A CHI?

DDD Story – Il drammatico debutto del Trap: “Non dire gatto…”

Redazione DDD

Adesso fa il nonno, aiutato dai nipoti è anche attivo sui social. Ha la casa piena di coppe e la mente piena di ricordi.

di Luigi Furini -

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Peggior debutto in panchina non poteva fare. Eppure non si è arreso e ha fatto poi un’ottima carriera. E’ il 20 maggio 1973 e il Milan gioca a Verona l’ultima di campionato. Se vince si mette sulla maglia la stella del decimo scudetto. Sembra uno scherzo. Le tivù e io giornali preparano interviste e titoloni per le prime pagine. L’allenatore del Milan è Cesare Maldini, però è ammalato. Il direttore tecnico è Nereo Rocco, squalificato. E allora tocca a lui andare in panca. Sembra facile, anche perché i rossoneri sono freschi vincitori della Coppa delle Coppe (solo quattro giorni prima) contro il Leeds. Invece la partita la vincono i padroni di casa (di qui il detto “Fatal Verona”) e lo scudetto lo vince la Juve. Giovanni Trapattoni da Cusano Milanino è stato un discreto giocatore e un ottimo allenatore, forse fra i più vincenti della storia. Poteva arrendersi dopo quel brutto colpo ma lui non si è mai arreso. Lo prende il Milan nel 1956 fra i ragazzi e debutta il 29 giugno 1959 (Milan-Como 4-1). Però non lo dice a suo padre, che legge la notizia il giorno dopo sulla Gazzetta. “Non hai voluto che venissi a vederti, non avrò mai la fortuna di vederti”, lo rimprovera. Lui non dà peso a questa frase, ma quattro giorni dopo Francesco Trapattoni muore d’infarto. Giovanni è scosso, pensa di lasciare il calcio. Ci pensa Gipo Viani, factotum del Milan, a fargli cambiare idea.

(Photo by Christian Hofer/Getty Images)

L’anno dopo, a Roma, ci sono le Olimpiadi. La nazionale alloggia a Grottaferrata, lontana dai clamori. Gli occhi sono tutti per Libio Berruti, primatista nei 200 metri; Abebe Bikila, l’etiope che vince la maratona correndo scalzo; Cassius Clay (poi Muhammad Alì) forse il più grande pugile di tutti i i tempi, campione nei pesi massimi e Wilma Rudolph, ventesima di ventidue figli, nera americana, guarita dalla poliomelite e vincitrice di tre ori. E Trapattoni? A Grottaferrata conosce Paola, che diventerà sua moglie.

Tornato a casa, diventa titolare nel Milan e e vince la prima Coppa Campioni dei rossoneri a Wembley. Rocco lo coccola come un figlio ma già nel 1972 Trapattoni appende le scarpe al chiodo. Passata la delusione di Verona, nel 1976 lo vuole Boniperti a Torino. Al suo arrivo gli mette un biglietto in tasca: “Ricordati che da oggi sei l’allenatore della Juve”. Il Trap onora l’impegno: sei scudetti in dieci anni. Nel 1986 lo vuole Pellegrini all’Inter e lui vince lo scudetto dei record. Proverbiali le sue massime: “I giocatori sono liberi di fare quello che dico io”.

Rifiuta l’etichetta di “difensivista”: “Guardate i gol fatti dalle mie squadre. Chi non lo sa, può consultare i libri”. Nel 1991 vince la Coppa Uefa, lascia l’Inter e torna alla Juve, però è un ritorno amaro. Il 2 aprile 1994 trova uno striscione allo stadio, c’è scritto “Trapattoni vattene”. E lui se ne va. In Germania, per vincere uno scudetto con il Bayern, poi al Benfica (altro scudetto in Portogallo), quindi allo Stoccarda, al Salisburgo (scudetto anche in Austria). Torna in Italia ma non va benissimo al Cagliari e alla Fiorentina. Nel 2000 prende il posto di Zoff in Nazionale ma l’esperienza ai Mondiali 2002 in Corea-Giappone finisce male soprattutto per colpa dell’arbitro Byron. Oggi “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”, è il suo motto. Ecco, a Verona, nel 1973 lo scudetto era già del Milan. Ovvero, credevano tutti di aver preso il gatto. Invece no. E la storia del Trap è girata da un’altra parte.