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DDD Story – Renato Curi, il regista tascabile dal “cuore matto”

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I due Perugia-Juventus di Renato Curi...

Redazione DDD

di Luigi Furini -

Lo chiamano “il regista tascabile”. E’ alto un metro e 65 e pesa 62 chili. Però corre come un matto, smista palloni, qualche volta segna. Gioca nel Perugia dei miracoli che, al terzo anno di serie A, è in testa alla classifica dopo cinque giornate. Al Comunale arriva la Juve. Il risultato non si sblocca. Al quinto minuto della ripresa, lui si accascia a terra. Arrivano i medici, poi la barella. In ambulanza viene portato in ospedale. Alla fine della partita, anziché il risultato, il mitico Sandro Ciotti, per “Tutto il calcio minuto per minuto”, chiede la linea. E annuncia: “Il centrocampista Curi del Perugia è morto”. E’ il 30 ottobre 1977. Renato Curi nasce a Montefiore dell’Aso (Ascoli Piceno) nel ’53, ma la famiglia si trasferisce presto a Pescara. Gioca nel Giulianova, poi passa al Como ma nel 1974 Ilario Castagner lo vuole al Perugia. Un anno in B e poi il salto nella massima serie.

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Curi tocca il massimo della popolarità il 16 maggio 1976. E’ l’ultima di campionato. Il Torino è in testa con un punto di vantaggio sulla Juventus e gioca in casa contro il Cesena, se vince è fatta. Ma pareggia (1-1) e i tifosi di tutta Italia sono attaccati alle radioline, perché la Juve gioca a Perugia e potrebbe agganciare i granata in vetta. E’ sempre Ciotti che chiede la linea: “Il Perugia è passato in vantaggio con Curi, su cross di Novellino. Niente da fare per Zoff”. Il popolo granata è in festa, al Comunale sventolano le bandiere. Curi, a Perugia, è portato in trionfo come un vero leader, si pensa a lui per la Nazionale. E comincia bene anche il campionato 1976-77 (gli umbri sono primi con Genoa, Juve e Milan). Poi quel giorno terribile. Piove a dirotto, Curi è in dubbio perché nei giorni prima ha preso un colpo a una caviglia. Ma vuole esserci. Sono le 15,34 quando, su una rimessa laterale, fa uno scatto per ricevere la palla. Invece crolla a terra. Il primo a chiamare i soccorsi è Beppe Furino, il suo marcatore. I medici lo portano in barella negli spogliatoi e poi in ospedale. Inutili massaggi e ogni tentativo di respirazione artificiale. “Ho un cuore matto – aveva detto qualche tempo prima in un’intervista – e pensate che quando sono passato dal Giulianova al Como – si sono accorti che i battiti erano irregolari. Però il mio cuore si assesta quando corro, quando mi affatico i battiti diventano perfetti”. Però nessuno ci fa caso e lui continua a correre e giocare. Il giorno dopo la morte, i giornali titolano: “Curi si poteva fermare?”. Il risultato dell’autopsia parla di “anomalia cronica del cuore”. La procura di Perugia apre un’inchiesta che si conclude con lievi condanne per tre medici.

Qualche settimana dopo, il comune di Perugia gli dedica lo stadio. A distanza di anni, la moglie racconta: “Ho saputo della sua morte in ospedale. Mi hanno accompagnata a casa. Ho scoperto dopo che ero incinta. Mio figlio è nato otto mesi dopo. Non ha mai visto suo padre. Ma il figlio, Renato Curi Junior, ha poi scritto e dedicato un libro al padre, e racconta: “Non l’ho mai conosciuto, ho ricostruito la sua vita con i racconti dei suoi compagni di allora. Era un uomo gioioso con tutti, ancora oggi a Pescara si ricordano di lui”. L’Angolana di Città Sant’Angelo (alla periferia di Pescara, gioca in Eccellenza) dove aveva debuttato da ragazzino, ha preso il suo nome.

 

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