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UN RAGAZZO DEGNO DI COTANTO PADRE

DDD Story – Sandro Mazzola rapito il giorno di Superga

DDD Story – Sandro Mazzola rapito il giorno di Superga

Sandro Mazzola, la famiglia al centro di una intera carriera

Redazione DDD

di Luigi Furini -

“Quest’ chi l’è minga bun, l’è minga el so papà”. Ad ogni partita, fra il pubblico, c’era chi diffidava sulle qualità di quel ragazzino. E invece… Sandro Mazzola, classe 1942, orfano del padre Valentino, capitano del Grande Torino scomparso a Superga (1949) è diventato un bravo calciatore. Il giorno della tragedia di Superga, Sandro era con la “dama bianca”, l’allora compagna di suo padre. “Mi mise su un’auto e partimmo da Torino, non so per dove. Ricordo che mi tenne nascosto in un mulino. Crescendo, ho capito che, in pratica, quel giorno ero stato rapito”. A Cassano d’Adda, però, c’è la madre, che avvisa i carabinieri e i tifosi del Torino. Cominciano a cercarlo e lo trovano. “Quel giorno – racconta Sandro – nessuno mi disse che mio papà era morto. Mi riportano a Cassano e scopro di avere un fratello, Ferruccio”. Proprio Ferruccio, detto “Mazzolino”, nato nel 1945 e morto nel 2013, è anche il ragazzo che convince Sandro a non abbandonare il calcio. “Volevo darmi al basket, ero bravino. Mio fratello è intervenuto: ma dove vuoi andare? Noi siamo fatti per giocare con i piedi, quelli, invece, lo fanno con le mani… E’ stata la svolta della mia gita”.  Il Torino, però, non ha i soldi per occuparsi tutti gli orfani dei calciatori e la famiglia Mazzola va in difficoltà. “In Porta Ticinese, con mio fratello vendevamo sigarette di contrabbando per tirare su qualche lira”, dice.

Poi Benito Lorenzi, giocatore perfido in campo ma uomo buono nella vita, prende i due fratellini e li porta all’Inter, diventano le mascotte. Da lì tutta la trafila. A 15 anni la sua peggior partita, al Filadelfia, contro i ragazzi del Torino. “Mi portarono nello spogliatoio dove un magazziniere aveva conservato il mio stipetto, che mio padre aveva sistemato accanto al suo. Entravo in campo con lui, mi teneva la mano”. Nel 1961 la svolta. L’Inter, per protesta, decide di schierare i ragazzi contro la Juventus. Mazzola deve sostenere la maturità per diventare ragioniere e la madre non vuole che vada a giocare. Si trova un accordo. Sandro farà l’esame per primo e dopo un’auto dell’Inter lo porterà fino a Torino. E l’ultima partita di Boniperti e Sivori vuole vincere la classifica dei cannonieri. Per i ragazzini nerazzurri non c’è scampo, ma Mazzola segna un gol su rigore (finisce 9-1). Poi il “mago” Herrera lo metterà titolare nella Grande Inter e, ancora oggi, Mazzola ha parole per tutti. “Un giorno con Picchi, in trasferta a Foggia, siamo scappati dal ritiro per andare a confessarci da Padre Pio, a San Giovanni Rotondo. Facchetti era un galantuomo, mai stati nemici, sono dicerie. Suarez è stato il mio modello, mi ha insegnato a vivere. Ottimo il rapporto anche con Rivera, abbiamo fondato insieme il sindacato calciatori. Dopo 50 anni si parla ancora di quella staffetta nella finale in Messico contro il Brasile. Ma venivamo dalla gara con la Germania (4-3 dopo i supplementari) e con un giorno in più di riposo avremmo battuto anche la squadra di Pelé.

Ricordi? “Tanti, mi voleva la Juve, ma mia mamma disse no. Il figlio del capitano del Torino non può giocare nella Juventus”. Comunque, si è preso le sue soddisfazioni anche nell’Inter. Finale di Coppa Campioni 1964 contro il Real Madrid. Vince l’Inter 3-1. Ferenc Puskas a fine gara gli stringe la mano: “Ragazzo, ho giocato contro tuo padre, sei degno di lui. Questa è la mia camiseta, tienila”. E vabbé, era un altro calcio. E un altro mondo.

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