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QUELLA SCOMMESSA RIUSCITA DI FACCHETTI E MAZZOLA

DDD Story – Terzino ma anche ala sinistra: Facchetti, ovvero Giacinto Magno

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Per tutta la vita, nell’Inter lo chiamano “Cipe”, abbreviazione di Cipelletti, come lo aveva chiamano Herrera la prima volta, storpiando per sbaglio il cognome.

Redazione DDD

di Luigi Furini -

Bravo era bravo (nel 1958 vince i campionati studenteschi a Bergamo, correndo i 100 metri in 11”) ma poi ci vuole il colpo di fortuna: succede il 14 giugno 1961. L’Inter ha in programma un’amichevole con la Fluminense e il Mago Herrera si fa prestare un terzino sinistro (allora si poteva) dalla Reggiana, un certo Vittorio Calvani. Ma Calvani si infortuna: ha un callo e pensa di tagliarlo con una lametta da barba. Infezione al piede e ritorno a Reggio Emilia. E allora Herrera pensa a lui, a Giacinto Facchetti, un ragazzo della primavera che aveva un ruolo indefinito: terzino? Centravanti? Ala sinistra? HH cerca uno che faccia due mestieri, uno che sappia marcare e poi spingersi in avanti. Facchetti prende il posto di Calvani e non lo molla più. Da quel giorno, senza paura di sbagliarsi, chiunque può dire che, per il ruolo di laterale sinistro, c’è stato un prima e un dopo Facchetti. Quel ragazzo arrivato dalla Trevigliese segna una svolta, diventa una colonna fondamentale dell’Inter: giocherà 634 partite, poi lo fanno dirigente e anche presidente, fino alla sua morte, nel 2006.

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Il “Cipe” fa coppia in nerazzurro e in Nazionale con Tarcisio Burgnich (giocano insieme dal 1963 al 1974) e, pronti via, vincono tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Internazionali. Si comincia a parlare di “blocco Inter” da vestire di azzurro. Ma il Ct Fabbri si oppone: “All’Inter il gioco ruota attorno a Suarez”. Come dire: non si può. I rapporti fra la società nerazzurra e il CT sono pessimi (dicono che Moratti volesse Fabbri in panchina, salvo poi decidere di prendere Herrera). E a farne le spese è Facchetti, messo in croce dopo la sconfitta con la Corea che costa all’Italia l’eliminazione dai Mondiali del 1966. Ma Facchetti attacca: “Il signor Fabbri ci proibisce di andare avanti. Lui vuole solo pareggiare. Ma con i suoi pareggi non si va da nessuna parte”. Esonerato il CT, in Nazionale arriva Valcareggi. E due anni dopo, nel ’68, è Facchetti che porta in finale gli azzurri. Negli spogliatoi del San Paolo, a Napoli, l’arbitro chiama i capitani di Italia e Unione Sovietica, dopo che la semifinale Europei 1968 è finita in parità. Non ci sono i rigori e si ricorre alla monetina. Gli altri giocatori sono nello spogliatoio, le tivù sono collegate. A un certo punto esce Facchetti esultante: ha vinto il sorteggio. Si va in finale e si batte la Jugoslavia, per il primo Europeo vinto dagli azzurri.

Ed è ancora lui il capitano azzurro in Messico ’70, in quel famoso 4-3 alla Germania ricordato per sempre come “la partita del secolo”.

E che dire del novembre 1971: lui e Mazzola sul volo Napoli-Milano (dopo una sconfitta) fanno una tabella che prevede l’aggancio e il sorpasso sul Milan, in qual momento saldo capolista con 7 punti di vantaggio. Sono in molti a prenderli per matti, ma la scommessa riesce. E’ da quel giorno che Gianni Brera comincia a chiamarlo “Giacinto Magno”.

Gli anni passano, via Herrera arriva Suarez in panchina e Facchetti gli chiede di cambiare ruolo: vuole provare a giocare da libero e fa ancora la sua figura. Poi il ritiro e gli anni da dirigente dell’Inter. Se ne va, colpito dal cancro, nel settembre 2006. L’Inter lo ricorda tutte le domeniche allo stadio e soprattutto nella notte di Madrid (la Champions 2010), quando i calciatori indossano la maglia con il numero 3. Il numero che lui ha portato dal primo all’ultimo giorno.

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