DDD
I migliori video scelti dal nostro canale

IL BARONE DOVEVA STARE IN ITALIA AL MASSIMO UN PAIO D'ANNI...

DDD Story – “Troppo milanista”: ecco perché l’Inter non prese Nils Liedholm come allenatore

29 Jun 1958:  Nisse Liedholm of Sweden tries to get a shot on target during the FIFA World Cup Final against Brazil played in Stockholm, Sweden. Brazil won the match and trophy 5-2.  Mandatory Credit: Allsport/Hulton

Oggi è al cimitero monumentale di Torino, ma quante ne ha fatte e dette Liddas...

Redazione DDD

di Luigi Furini -

“Tranquillo papà, vado in Italia un anno, al massimo due, e poi torno”. E’ l’agosto del 1949 e dopo un lungo corteggiamento, il Milan ingaggia un giovanotto alto alto, capace di giocare in attacco, in difesa, a centrocampo. Nel suo Paese, finora, si è visto pochino (ha vinto il torneo olimpico nel 1948 ma la grande carriera verrà dopo) ed è più noto per aver giocato a “bandy”, una sorta di hockey su giacchio, violentissimo, dove si esce pesti e sanguinanti ad ogni incontro. Nils Erik Liedholm non ha mantenuto la promessa fatta a suo padre. In Italia ci è rimasto fino alla morte perché, dopo aver smesso con il calcio, si è messo a produrre vino in Monferrato. E’ l’8 agosto 1949. Il suo amico Gunnar Nordahl e suo compagno al Norrkoeping ha appena firmato per il Milan. E cerca di convincerlo a fare altrettanto. Insieme al direttore tecnico rossonero, Busini, discutono una notte intera. “Accettai soprattutto per stanchezza”, dirà poi Liedholm.

La sua sarà una carriera piena di trionfi. Nello stesso anno arriva al Milan anche Gunnar Gren. I giornalisti faticano a scrivere i cognomi dei tre assi svedesi e così nasce la Gre-No-Li. Il Milan vince subito il campionato e il “Barone” (Liedholm sarà ribattezzato così per la sua eleganza) si impone come il vero padrone del centrocampo. E guai a dargli ordini. L’allenatore Viani gli urla qualcosa ma lui, serafico, risponde: “Lei comanda fuori dal campo, io sono il capitano e comando in campo”. Nel 1961 smette di giocare e diventa allenatore. Gira mezza Italia: Milan, Verona, Monza, Varese, Fiorentina e Roma, dove arriva alla finale di Coppa Campioni, persa in casa ai rigori contro il Liverpool (1983). Lo vorrebbero anche l’Inter e la Juve. In nerazzurro non va perché alla fine, il presidente Fraizzoli, lo considerò “troppo milanista” ed è lo stesso Barone a rifiutare la Juve. “I bianconeri sono già forti, se vado io uccidiamo il campionato. Lo faccio per lealtà”, dirà a un giornalista.

Si tramandano ancora le sue frasi celebri: “Se teniamo il pallone 90 minuti, di sicuro l’avversario non segna”. E ancora: ”Gli schemi sono belli in allenamento: senza avversari riescono tutti”. E infine: “La partita perfetta è quella che finisce 0-0”. Era anche molto scaramantico. Negli spogliatoi prendeva le maglie dal sacco e le distribuiva. “Una volta – racconta Pietro Vierchowod – sapendo il mio numero ho preso la mia e l’ho sfilata dal mucchio. Il mister mi ha fulminato. Se succede qualcosa è colpa tua”. Nelle tasche del suo cappotto c’era di tutto: sale, ciondoli, amuleti, boccettine e cornetti”. L’italiano l’ha imparato ma non benissimo, anche se, per forza, doveva usarlo quando parlava con Rocco (che preferiva il dialetto triestino). “Quel mona de Baron – diceva -. Con lui me toca parlar italiano”. Finita la carriera, ormai il padre era morto e la promessa non valeva più, è rimasto nella sua tenuta di Cuccaro Monferrato a produrre vino. E’ morto nel 2007 ed è sepolto nel cimitero monumentale di Torino.

 

tutte le notizie di