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Esiste uno Stato europeo, dalle origini antichissime, che non abbia all'interno di sé parti che sembrano non avere alcuna continuità storica e culturale tra loro? Conosciamo la frammentarietà dell'Italia e la sua unità a partire dal 1861. Ma al pari del Belpaese, anche nell'ultimo tratto del Mediterraneo troviamo una nazione con tanti "regionalismi". La penisola iberica e, dunque, la Spagna è sempre stata terra di continue affluenze ed influenze. Alcune di queste peculiarità locali hanno portato alla creazione di vere e proprie "nazionalità" all'interno dello Stato spagnolo. Delle comunitad autonome che si riflettono anche nella cultura calcistica. Ecco perché l'incrocio tra Barcellona e l'Athletic Club di Bilbao non è una semplice partita: è un confronto tra Catalogna e Paesi Baschi.
Prima di poter parlare di Barcellona e Athletic è necessario fare un passo indietro e cercare di capire cos'è che rende così uniche queste due comunità autonome. Sia la Catalogna che i Paesi Baschi affondano le radici della propria autodeterminazione storico-culturale - e, successivamente, politica - nell'epoca medievale. I catalani, da un lato, tra il nono e l'undicesimo secolo riuscirono ad organizzare un potere autonomo rispetto sia ai Franchi che ai vari regni iberici. Dall'altro lato, il popolo basco - a cavallo dei Pirenei tra Francia e Spagna - riuscì a resistere al tentativo di conquista del potere carolingio, arrivando alla vittoria della Battaglia di Roncisvalle (agosto 778), per poi essere assoggettata dal Regno di Pamplona, perdendo di fatto qualsiasi decisione sulle proprie sorti.
Due regioni che hanno poi seguito strade diverse. I catalani riuscirono fino alla storia moderna ad avere una sorta di autonomia, per poi perderla con la Guerra di successione spagnola (1701-14); i baschi, invece, non trovarono più spazio per autodeterminarsi. Eppure, entrambe le comunità, hanno avuto un ruolo importante nella storia contemporanea della Spagna, diventando di fatto due clienti difficili da gestire dalla dittatura franchista che voleva azzerare qualsiasi distanza dal potere centrale. Proprio Francisco Franco rese illegale persino parlare la lingua catalana.
Infatti, insieme alla storia della Catalunya e dell'Euskadi, c'è da considerare la questione della lingua di queste due regioni. La lingua catalana è stata centrale nello sviluppo storico della penisola iberica e della letteratura: una lingua romanza occidentale che è diventata anche lingua ufficiale della cancelleria del regno aragonese e delle corti nobiliari. Dall'altro lato, invece, abbiamo una lingua davvero atipica per l'Europa: mentre il català è una lingua indoeuropea, l'euskara (o il basco) è paleoeuropea, ovvero precedente alla diffusione di quelle moderne. Si tratta di una lingua antica e che segue regole diverse ed ha un lessico di origine sconosciuta.
Come, però, definito da molti: queste due lingue sono simbolo delle due "nazioni". Joan Fuster, scrittore catalano, ha scritto (in català): "La llengua és la pàtria". Fanno da eco anche le parole di uno degli scrittori baschi più importanti, Bernardo Atxaga: "La patria de un escritor es su lengua". Proprio per i baschi la lingua è una condizione d'esistenza, tanto che in euskara si chiamano Euskal Herria, ovvero "il popolo che parla lingua basca". Una definizione che comprende sia le province spagnole (riunite sotto il nome di Hegoalde) e quelle francesi (sotto il nome di Iparralde).
Non due semplici regioni o comunità autonome, ma qualcosa di fortemente identitario. Una radicalizzazione nel proprio territorio e nelle proprie usanze che, spesso, ha portato a scontri politici con il governo madrileno. Sia in Catalogna che nei Paesi Baschi, sono molto forti le spinte indipendentiste. Ma al di là della politica, delle storie e delle lingue, Catalunya ed Euskadi hanno modo di confrontarsi in un campo da calcio.
Proprio questo sabato, 22 novembre, si affronteranno due squadre che sono simbolo di due città ma anche di due sentimenti come il catalanismo e il bizcaitarrismo (baschismo). Così il Barcellona e l'Athletic Club di Bilbao saranno i club protagonisti dell'ennesimo scontro culturale tra campo e spalti. Si tratta di due squadre diametralmente opposte per idee, ma che fanno del senso di appartenenza alla città e alle comunità il loro tratto distintivo.
C'è Barcellona, capitale, cuore pulsante e culturale della Catalogna. Una città turistica e profondamente cosmopolita, moderna e tecnologica e dai tratti culturali molto marcati e iconici. Nonostante l'apertura al mondo, il capoluogo catalano è fortemente identitario: la croce di Sant Jordi e le quattro barre che indicano la Corona d'Aragona e il legame con la bandiera regionale (la Senyera). Poi c'è Bilbao, la città più popolosa dell'Euskadi e che non ha mai abbandonato la sua identità basca di fronte alla sua modernizzazione e industrializzazione. Il capoluogo della Biscaglia è anche un polo turistico molto attrattivo ma che non rinuncia per nulla al suo cuore legato alla Euskal Herria.
In qualche modo le squadre riflettono questi caratteri cittadini. Més que un club è la frase-manifesto della missione dominante del Barcellona, mentre l'Athletic è un esempio di re-esistenza culturale del sentimento locale. I blaugrana sono diventati un'icona di calcio tecnico e stellare, dominando tra i confini iberici e in campo internazionale. I zurigorriak (rossobianchi in basco) hanno avuto modo di far trionfare la loro identità comunitaria e antropologica nel campionato spagnolo.
Sono anche due squadre che fanno delle proprie cantere un loro marchio di fabbrica. Da quella dei Culés sono usciti fuori tanti campioni come un certo Lionel Messi (o per restare in tempi recenti, Lamine Yamal); su quella dei Lehoiak (leoni in basco), invece, c'è l'impronta del bizcaitarrismo: infatti, la politica di tesseramento è rivolta solo a giocatori dei Paesi Baschi (spagnoli e francesi). Nonostante il calcio sia il linguaggio comune, si tratta di due club che rappresentano due visioni del mondo e dello sport differenti. Una differenza che non può non sfociare in rivalità.
Alla fine si torna sempre laddove si rinnovano e risolvono le grandi dispute tra le parti. Si ritorna in campo, l'ultimo ad avere sempre la parola. Ed effettivamente, per buona parte degli incroci tra Barcellona e Athletic, il campo ha avuto sempre da dire qualcosa di importante. Così, possiamo chiedere: da dove nasce la rivalità tra catalani e baschi?
Probabilmente il clou di questo sentimento di opposizione l'uno all'altro risale alla stagione 1983-84, in una Spagna in profonda trasformazione dopo la caduta della dittatura franchista (1975) e la transizione democratica ("conclusa" con le elezioni del 1982). In quel momento storico, i Paesi Baschi affrontavano ancora un periodo di instabilità e violenza politica; mentre la Catalogna stava ritrovando la propria autonomia. Athletic e Barcellona erano simbolo identitario di quegli anni difficili sulla vita politica.
Lo scontro tra i due club si tiene in occasione della finale della Copa del Rey, il 5 maggio 1984 allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid. I baschi si presentavano come campioni di Spagna, mentre i blaugrana venivano da una stagione complessa, nonostante la presenza di Diego Maradona. Proprio El Pibe de Oro è stato un tema della partita, visto il confronto con Andoni Goikoetxea, soprannominato "Il macellaio di Bilbao". Il difensore è noto per i suo interventi molto duri, tanto che nella stagione precedente ha rotto la caviglia all'argentino.
La partita diventa velenosa e molto dura, con i Lehoiak che sfruttano la propria fisicità e compattezza per blindare l'1 a 0 siglato da Endika al 14esimo. Il contatto tra Goikoetxea e Maradona crea ulteriori attriti, con varie provocazioni tra le parti. Dopo il fischio finale che sancisce la vittoria dell'Athletic sul Barcellona, proprio il campione argentino cede alle provocazioni e fa partire una rissa violentissima. Quella fu l'ultima partita di Maradona con la maglia del Barça: proprio il club catalano, indignato dal gesto, decide di venderlo al Napoli. Mentre per i rossobianchi di Bilbao quello fu l'ultimo successo importante (che arriva nel 2024, quarant'anni dopo).
La rivalità, mai sopita in realtà, sembra essersi ripresentata in occasione del mercato estivo di quest'anno. La stampa spagnola era sicura che il Barça avrebbe riunito la coppia dei ragazzi prodigio della Nazionale. Al fenomeno Lamine Yamal, il Barcellona voleva affiancare il prodotto del vivaio dell'Athletic, Nico Williams.
La fuga di notizie che vedevano il talento di Pamplona verso la Catalogna avevano causato agitazioni nella tifoseria di Bilbao. Infatti, il murales di Nico nel quartiere basco di Lutxana è stato vandalizzato più volte. Tuttavia, la contesa con il Barcellona si è chiusa qualche giorno dopo: il campione d'Europa con la Spagna, nel 2024, ha scelto di restare a Bilbao e rinnovare il contratto, continuando a vestire la maglia numero 10 dell'Athletic.
I due gioielli della Furia roja si ritroveranno faccia a faccia nella sfida di campionato questo sabato, che coinciderà con il ritorno al Camp Nou dopo due anni senza la casa del Barça. Stadio in cui lo stesso Yamal ha giocato una sola volta, visti i lavori iniziati nel 2023.
Lungo questo racconto dei due club si è espresso e ribadito il concetto di identità. Ogni parte vuole affermarsi tramite i propri caratteri culturali, senza alcuno sconto. Barcellona e Athletic sono veramente più di due semplici squadre di calcio: sono vettori di due "nazionalità" (e nazionalismi), delle loro usanze, dei loro costumi. In sintesi, della loro stessa esistenza.
Ma storicamente catalanismo e bizcaitarrismo sono sempre stati dei temi per l'unità del regno spagnolo. Laddove la corona - e il potere militare per la parte centrale del XX secolo - voleva quasi assorbire e affievolire i caratteri particolari delle due regioni, Catalogna e Paesi Baschi rispondevano con un'affermazione della propria tradizione. La lingua fa da esempio: è il cuore pulsante, il veicolo espressivo di queste due culture.
Risale al 1921 un saggio politico e di attualità del filosofo José Ortega y Gasset. In "España invertebrada", il pensatore madrileno scriveva del problema del particolarismo come sintomo di decomposizione dello Stato: "Il particolarismo è ciò che ha sempre disgregato la Spagna". Ma nonostante la sua avversione a questi sentimenti separatismi, Ortega volgeva la critica al potere centrale, incapace di unire le parti del tutto verso un obiettivo comune. Come abbiamo visto, passeranno anni prima che le due comunitad autonome possano ritrovare quantomeno la pace politica della propria autonomia all'interno di una politica nazionale comune (quella che auspicava Ortega con l'universalismo).
Nel rispetto delle differenze regionali, la Spagna è (in parte) riuscita culturalmente a porre Catalogna e Paesi Baschi nell'unità dello Stato. Ed anche il calcio rappresenta uno strumento unitario e politicamente rispettoso. Così, anche le diverse missioni del Barcellona e dell'Athletic Bilbao sono parte di un progetto unico. Come direbbe sempre il filosofo: "Non esiste nazione senza un progetto suggestivo di vita in comune"; e lo sport aiuta in questa direzione.
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