PSG contro Flamengo è l'ultimo capitolo di un romanzo, quello della Coppa Intercontinentale, che da oltre sessant’anni definisce chi può legittimamente guardare il resto del mondo dall'alto in basso.
COPPA INTERCONTINENTALE
Coppa Intercontinentale: dal Santos di Pelè alla Toyota regalata ai giocatori, tutte le curiosità del trofeo

L'albo d'oro della Coppa Intercontinentale
—Per comprendere il peso specifico di questa sfida bisogna sfogliare l'albo d'oro, una lista che assomiglia più a un poema epico che a una statistica. Per decenni, il trofeo è stato un affare riservato a un club ristretto di giganti: Real Madrid, Milan, Peñarol, Boca Juniors e Nacional siedono ancora oggi sul trono più alto, avendo sollevato la coppa al cielo per tre volte ciascuno.

È un equilibrio storico quasi mistico tra Europa e Sudamerica, un braccio di ferro che ha visto l’Argentina e il Brasile rispondere colpo su colpo alle superpotenze italiane e spagnole.
Le follie dell'Intercontinentale nel corso degli anni
—Ma l'Intercontinentale è soprattutto una questione di atmosfera e nostalgia. Per una generazione intera di tifosi, questo nome evoca il freddo pungente di Tokyo, le finali della Toyota Cup giocate su campi ghiacciati e le sveglie puntate all'alba. È la competizione dove il Santos di Pelé incantò il pianeta nel 1962 e 1963, e dove nacque il mito delle "partitissime" in cui la tattica europea spesso si sgretolava di fronte all'imprevedibilità del talento sudamericano.

Esiste però un "lato oscuro" e folle di questa coppa che spesso si dimentica, fatto di paure, rifiuti e record assurdi. Negli anni '70, la violenza in campo raggiunse picchi tali che squadre leggendarie come l'Ajax di Cruijff si rifiutarono di partecipare per paura di infortuni, lasciando il posto alle finaliste sconfitte della Coppa Campioni (fu così che la Juventus giocò l'edizione del 1973 contro l'Independiente).
Si passa dalle battaglie letterali, come il "massacro" subito dal Milan contro l'Estudiantes nel 1969, al folklore giapponese degli anni '80, quando il miglior giocatore non riceveva solo una medaglia, ma una vera automobile Toyota consegnata direttamente in campo con una chiave gigante di cartone.
E non si può dimenticare l'edizione del 1988, con Nacional e PSV Eindhoven diedero vita alla sequenza di rigori più estenuante della storia del torneo: ne servirono venti per decretare un vincitore, in una roulette russa sportiva che sembrava non voler finire mai.
La storia di Flamengo e PSG
—Proprio in questo solco storico si inserisce il Flamengo, che arriva a Doha con il peso della storia sulle spalle. Per i tifosi Rubro-Negro, questa finale è un ponte temporale diretto verso il 1981. Quell'anno, un Flamengo leggendario guidato da Zico annichilì il Liverpool con un netto 3-0, offrendo una delle più grandi lezioni di calcio mai viste in una finale internazionale. A distanza di 44 anni, i brasiliani cercano di ripetere quell'impresa, provando a dimostrare che, nonostante il divario economico, la mistica della camisa pesa ancora più dei milioni.
Dall'altra parte della barricata, per i parigini, privi di una tradizione secolare in questa specifica competizione, la vittoria non è una questione di nostalgia, ma di legittimazione. Conquistare l'Intercontinentale significherebbe per il club francese piantare la bandiera sulla vetta più alta, trasformando definitivamente il progetto qatariota in una dinastia globale riconosciuta. Non si tratta solo di vincere una partita, ma di colmare quel vuoto in bacheca che separa le grandi squadre dalle leggende immortali.
Vedremo il confronto tra l'ossessione europea per la perfezione e la "ginga" brasiliana, tra la Torre Eiffel e il Pan di Zucchero. Che sia la consacrazione di una nuova era per Parigi o il ritorno al passato glorioso per Rio, la Coppa Intercontinentale è pronta a scrivere un’altra pagina indimenticabile della sua storia.
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