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West Ham-Tottenham non è il derby più famoso di Londra, ma è comunque tra i più autentici. Tanto gli Hammers quanto gli Spurs considerano altri club come i loro nemici naturali: i Gunners nella zona nord della città e il Millwall appena a sud del fiume. La loro non è la rivalità glamour di Chelsea-Arsenal: qui c’è l’odore del sudore, del ferro e della birra fin dalle undici del mattino. Non c’è un odio viscerale, nemmeno dei dissapori per motivi geografici, solo una sana antipatia reciproca e la voglia di prevalere l’una sull’altra ogni volta che se ne presenta l’occasione.
Gli Hammershanno radici operaie: sono i figli dell’East End e del cantiere navale di Thames Ironworks, la loro è la Londra di Brick Lane, dell’accento cockney, dei pub affollati e della cultura di strada. Tottenham, invece, è un pittoresco quartiere di North London, con un’identità multiculturale e forti legami con la comunità ebraica che la abita, e che negli anni ha lasciato un segno riconoscibile nei cori, nell’orgoglio cocciuto e nell’autoironia della squadra locale. I loro sono due modi diversi di vivere la città e il calcio, ma tutto sommato non così distanti.
In Premier League non c'è posto per il tifo pirotecnico centroeuropeo. Eppure, ci sono dei rituali che sono sopravvissuti alla All Seating Policy di Margaret Thatcher ieri, e che forse sopravvivranno persino agli aumenti vertiginosi dei prezzi dei biglietti di oggi. Ma è con i cori che le due tifoserie danno il meglio (e il peggio) di sé.
Al West Ham basta l’inno: “I’m Forever Blowing Bubbles”, che con le sue note malinconiche accompagna l’entrata in campo della squadra, mentre una macchina a lato del terreno di gioco riempie lo stadio di bolle di sapone. La tenerezza di questa immagine, tanto delicata ma anche fieramente proletaria, sta tutta nell’analogia con i sogni, ugualmente impalpabili e destinati a svanire con un soffio. La malinconica tenerezza di questo inno, però, non deve ingannare: gli Hammers sanno comunque essere pungenti quando arriva il momento dello sfottò ai rivali, con cori che ricordano il passato hooligan e superano ampiamente i confini del politically correct.
Il Tottenham, invece, punta sullo spettacolo moderno più che sulle coreografie classiche, su cori autoironici ma anche velenosi verso tutti, in particolare Arsenal e Chelsea. Negli ultimi anni, però, gli Spurs hanno iniziato a imitare il tifo “continentale”, con mosaici, bandiere e sciarpate ad accompagnare l’ingresso in campo. La storia della loro tifoseria è segnata da un legame profondo con la comunità ebraica del North London, che per decenni ha attirato epiteti spregiativi e cori antisemiti da parte degli avversari. Per ribaltare quegli insulti, i tifosi hanno iniziato a definirsi Yid Army – esercito giudeo – trasformando un termine offensivo in un punto di orgoglio. Negli ultimi anni, però, si discute molto su quanto sia giusto continuare a rivendicare quel nome o se sia meglio lasciarlo al passato.
Il Tottenham Hotspur Stadium viene descritto da molti come un gioiellino ultramoderno, dove il tifo si fonde con l’intrattenimento, tra maxi-schermi e spillatrici ultramoderne, in una struttura perfetta e sicura. Lo stadio più bello del mondo, forse, eppure non sono in pochi i tifosi a cui manca il vecchio White Hart Lane, con le gradinate che finivano praticamente in campo.
Al London Stadium, ex Olympic Stadium, tira un’aria ben diversa: più dispersivo rispetto al vecchio e indimenticato Upton Park, ma con un pubblico che rivendica ancora la propria anima “East End” e fatica ad accettare la nuova sistemazione. Non è raro che dagli spalti si alzino cori nostalgici contro il trasferimento, come a ribadire che il vero West Ham, quello più “greve”, è rimasto nei pub di Green Street.
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