L’ex centrocampista racconta la sua doppia anima nerazzurra e rossoblù tra passato, presente e futuro. Spogliatoio post Triplete, la nuova vita dopo il calcio, giovani da scoprire e una classifica… da sogno
Bologna-Inter. Domenica 20 aprile alle ore 18:00 il Dall’Ara ospita una delle partite più significative di questa Serie A: i nerazzurri vogliono allungare nella corsa scudetto, i rossoblù inseguono il sogno europeo più grande. Tra chi vivrà questa sfida con il cuore diviso c’è Gaby Mudingayi, gladiatore del centrocampo con entrambe le maglie. Dal sudore per la salvezza col Bologna ai mesi difficili ma intensi all’Inter post-Triplete, passando per il legame profondo con Pioli, Cassano e Zanetti. Oggi è imprenditore, procuratore e guida per tanti giovani.
L'INTERVISTA AL DOPPIO EX GABY MUDINGAYI
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Bologna–Inter, due squadre che conosci bene. Che partita sarà per te? Speciale. A Bologna ho giocato tanti anni, ho fatto bene. All’Inter ho firmato per un grande club, anche se sono stato sfortunato. Un infortunio gravissimo al tendine d’Achille mi ha tenuto fermo per un anno e mezzo. Però, nonostante tutto, porto nel cuore entrambe le squadre. Da questa partita passerà quasi una stagione: sarà combattuta fino all’ultimo.
Parlando di Bologna e Inter, impossibile non citare Thiago Motta... Thiago ha fatto un lavoro straordinario a Bologna. Italiano, secondo me, ha potuto anche raccogliere parte di quell’eredità. Ma ha fatto benissimo pure a Firenze: arrivare due volte in finale non è roba da poco. Quando ho saputo che sarebbe arrivato a Bologna, ero contento. Giovane, con idee forti: la continuità giusta dopo Motta. Se resterà la prossima stagione? Io dico di sì. Le chiamate arriveranno sicuro, ma si è creato un legame forte con l’ambiente e credo che abbia un ciclo da completare.
Guardando il Bologna di oggi, l’impressione è che il merito, prima degli allenatori, sia del progetto. Bologna sta crescendo perché tutti stanno lavorando nella stessa direzione. La società è seria, c’è organizzazione, c’è una mentalità nuova. Ho la fortuna di essere spesso a Casteldebole, vedo coi miei occhi il cambiamento. Dai magazzinieri alla dirigenza, tutti stanno contribuendo. È un progetto collettivo, non solo un exploit tecnico. La città e la squadra stanno diventando una realtà importante. Si respira ambizione, si vedono i risultati, e questo i giocatori lo percepiscono. Da giocatore posso dire che se c'è un progetto serio, se l’ambiente ti fa stare bene, allora non c’è fretta di andare via. Anzi, viene voglia di restare e lasciare il segno.
Seguendo il Bologna da vicino, c’è un giocatore che ti ha colpito dal vivo? Castro, Ndoye, Orsolini... Sono ragazzi che conoscevo bene e vederli crescere così è una soddisfazione. Stanno facendo un salto importante, dimostrando di poter stare ad altissimo livello. E soprattutto, mi sembra che non vivano Bologna come una semplice tappa, ma come un progetto vero, in cui credere.
Hai lasciato il Bologna quando la squadra lottava per non retrocedere. Che effetto ti fa vederla oggi in corsa per la Champions? Per me è incredibile. Noi sudavamo ogni anno per salvarci. Vederli lottare per la Champions è qualcosa di spettacolare. Mi sento parte anche di questa storia, nel mio piccolo. Perché se oggi il Bologna è dove è, è anche grazie a chi ha contribuito a mantenerlo in Serie A negli anni più difficili. Era un’altra epoca, molto più complicata. Tanti problemi societari, tanti allenatori cambiati, si lottava ogni anno. Ma l’amore dei tifosi, la forza del gruppo... quelle cose lì a Bologna ti danno una carica unica, fino a farti sentire invincibile.
All’Inter hai giocato con campioni come Milito e Zanetti. Com’era lo spogliatoio dopo il Triplete? Quando ti chiama l’Inter, non puoi dire di no. Era un’onore. Ma era un momento complicato. L’impressione era che il ciclo fosse finito, tanti stavano per andar via, c’era un po’ di incertezza. Fino a gennaio eravamo secondi dietro alla Juve, poi sono arrivati nove infortuni gravi e da lì è cambiato tutto. Abbiamo chiuso noni, e per l’Inter è un fallimento. Ma lo spogliatoio era pieno di campioni veri, gente con cui è stato un onore condividere il campo.
Hai mantenuto rapporti con qualcuno di quella squadra? Sì, con molti. Con Cassano mi sento ancora, anche con Zanetti. Ho avuto sempre un ottimo rapporto con tutti. Andavamo a cena insieme, c’era un bel gruppo. E quando il gruppo è sano, si sente.
Oggi l’Inter è in semifinale di Champions. La credi possibile? Sì. L’Inter è tra i top club d’Europa, per gioco e per rosa. Ora restano solo le squadre più forti, è vero, ma l’Inter ha dimostrato che può giocarsela con chiunque. Non si può dire "contro il Barcellona perde sicuro": ormai è una realtà consolidata, che fa paura anche fuori dai confini italiani.
Chi è stato l’allenatore che ti ha lasciato di più? Tutti mi hanno lasciato qualcosa. Delio Rossi è stato il primo a credere in me, Pioli è una persona eccezionale e un grande tecnico. Mihajlović... che dire, un uomo vero. Ho avuto la fortuna di avere grandi uomini prima ancora che grandi allenatori.
Pioli oggi è spesso definito un grande “uomo spogliatoio”. È così? Totalmente d’accordo, per questo io lo sento ancora spesso. È sempre lì ad ascoltarti, a sostenerti, a farti crescere. Un uomo vero. Poi come allenatore non devo dirlo io: lo hanno dimostrato i risultati con Milan, Lazio, Bologna. Ma a livello umano... è uno dei migliori che abbia mai incontrato.
Dopo il ritiro hai scelto Bologna come città in cui vivere e ti sei dedicato a diverse attività. Come hai vissuto questa transizione? Quando ho smesso di giocare, ero in un momento un po’ confuso. Non sapevo ancora cosa volessi fare “da grande”. È un momento difficile perché finisci la carriera che sei ancora giovane, hai ancora tanto da dare. Devi riscoprirti. Ho fatto qualche investimento immobiliare, ho aperto anche un ristorante, ma non è che ci lavori io in prima persona — sono più dietro le quinte, diciamo. Poi è arrivata una nuova opportunità: ho iniziato a lavorare nel mondo dei procuratori, con l’agente di Kessié. È stato un percorso formativo importante. Ora faccio sul serio, mi sto dedicando completamente a questa professione. Tra Francia, Belgio e partite da seguire, sto costruendo la mia rete, la mia procura. Alla fine, il calcio è ciò che conosco davvero. Bologna mi ha accolto bene, è diventata casa. E oggi, da procuratore, provo a dare ai ragazzi quello che magari è mancato a me all’inizio: direzione, supporto, fiducia.
A proposito… Tu hai iniziato a giocare a calcio molto tardi. Sei tu che hai scoperto il calcio o è stato il calcio a scoprire te? Onestamente? È stato il calcio a scoprire me. Io non pensavo minimamente di fare il calciatore. Mi ci sono buttato quasi per caso, per tenermi fuori dai guai, per fare qualcosa. Avevo una squadra vicino a casa, ho iniziato tardi, a 15 anni, in Belgio. Però ho avuto gente che ha creduto in me, che mi ha dato possibilità. E lì è cominciato tutto.
Che ruolo giocano i vivai italiani e che responsabilità hanno? I vivai sono fondamentali. Devono lavorare non solo tecnicamente, ma anche a livello psicologico. I ragazzi vanno seguiti, guidati. Servono figure che sappiano essere anche un po’ genitori, che li aiutino a diventare uomini, non solo calciatori.
Hai giocato anche nella Lazio. Come giudichi il cammino dei biancocelesti in campionato? Avevano iniziato bene. Poi a un certo punto hanno perso qualcosa. In Europa League hanno fatto un percorso importante. Ora c’è solo il campionato, ma la classifica è corta: possono ancora puntare alla Champions.
La tua carriera italiana è iniziata sotto la Mole. Secondo te, il Torino può replicare il percorso che sta facendo il Bologna? Io credo di sì. Il Torino ha una storia importante. Serve un progetto serio e continuo, come ha fatto il Bologna. Ma il Toro ha tutto per stare stabilmente nelle prime otto. Può accadere con Cairo, lui è legato al Toro, ci tiene. È lì da tanti anni. Ora serve continuità e un progetto solido.
È il 25 maggio 2025, si chiude il sipario sulla Serie A. Mi dici le tue prime quattro? Allora… l’Inter vince lo scudetto, Napoli secondo, Bologna terzo – perché voglio assolutamente vederli in Champions – e quarta una tra Juventus e Atalanta. Nella mia classifica ideale, invece, vorrei l’Inter prima, il Bologna secondo, la Lazio terza e il Toro quarto (ride ndr)…