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C'è una parte del cuore più scura, che batte a un ritmo diverso e che cela incredibili segreti. Quelli che non possono essere svelati a nessuno, che nascondono quelle persone che fanno parte del passato ma non sappiamo lasciare andare per il ricordo di ciò che è stato, che vogliamo ancora bene ma che ci hanno tradito, nel profondo. A volte ne scaturisce un sorriso, altre volte un ghigno rabbioso, raramente indifferenza: perché chi ha amato davvero non può essere impassibile a ciò che è stato toccare con mano la vera, tangibile felicità. Ben lo sanno i tifosi del Napoli che custodiscono in quell'angolino del proprio cuore Luciano Spalletti, autore della vittoria dello scudetto partenopeo dopo 33 anni lasciando il progetto azzurro nel suo momento più bello e tornando oggi per la prima volta da avversario al Maradona, proprio sulla panchina dell'eterna rivale, la Juventus.
Nel 2021 nessuno sotto l'ombra del Vesuvio avrebbe mai immaginato di essere in procinto di vivere un biennio incredibile, culminato nella seconda stagione con una storica vittoria dello Scudetto il 4 maggio 2023. Un campionato stracciato, con il tricolore tra le mani con ben cinque giornate di anticipo e un gap importante con le inseguitrici. Ma il Napoli di Spalletti non è stato solo vincente: era bello, sorridente, compatto, tecnico, che sciorinava un calcio offensivo e attento, mettendo in difficoltà ogni avversaria anche in Europa. Il tecnico di Certaldo ha incredibilmente sfiorato anche le semifinali di Champions League, fermandosi al Maradona contro il Milan, in una stagione che sarebbe stata ancora più epica.
Una storia incredibile, destinata a diventare leggenda. E come ogni momento unico e irripetibile che si vince, con il primo tricolore in Italia conquistato dall'allenatore, è stato impresso sulla sua pelle con un bellissimo tatuaggio sull'interno del braccio, che lascia davvero poco spazio all'immaginazione. Un atto di fede e di amore senza precedenti, con la percezione che si stava aprendo uno splendido ciclo vincente. Quando però tutto era idilliaco, ecco la doccia gelata: Luciano Spalletti decide di andare via, all'apice del successo, della sua idolatria azzurra. La verità non è dato ancora conoscerla: ma vivendo cosa è successo dopo, qualche idea è maturata nella mente di supporter e addetti ai lavori, che hanno espiato quell'addio con un'annata incubo.
A Napoli le ferite bruciano sotto il sale che il destino ripropone. Da Altafini a Higuain passando per Maurizio Sarri, in una parabola discendente senza fine, nella quale "o' core 'ngrato" è un appellativo che risuona nelle pieghe di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, continuando a riproporre nella mente quelle immagini che stonano con ciò che il presente regala. Dai baci alla maglia con il logo partenopeo, alle promesse di una fede eterna, che nessun altro club di serie A avrebbe macchiato. Eppure c'è chi quelle promesse le ha realmente mantenute: da Marek Hamsik a Mario Rui passando per Lavezzi e Mertens, in tanti sono stati tentati dalla Vecchia Signora non cedendo mai alle lusinghe del dio denaro e restando fedeli a se stessi.
Per la sua magnifica storia partenopea, i tifosi hanno sempre creduto che anche Luciano Spalletti si potesse annoverare a questi ultimi, gli ultimi romantici di uno sport comandato da ingaggi, procuratori, strategie e convenienze. Eppure, il 30 ottobre 2025 qualcosa è cambiato: l'ex Ct della Nazionale ha ormai lasciato da tempo, forzatamente, il suo ruolo di selezionatore dell'azzurro maggiore, cercando nuovamente squadra...e quale migliore occasione dell'esonero di Tudor, con la Juventus alla ricerca di un nuovo capitolo della propria storia da scrivere. I commenti non si contengono: più quelli bianconeri che quelli dei tifosi napoletani, quasi orgogliosi che quel tatuaggio scudettato sventoli all'ombra della Mole.
"...E vivere, come se non fosse stato mai amore", canterebbe Laura Pausini. Eh sì, perché a Napoli è molto complicato continuare ad amare dopo un tradimento così profondo, inaspettato. La ferita più profonda viene inferta quando colui che ama si spoglia delle difese e si pone davanti scevro della razionalità, non aspettandosi ma quella coltellata inferta. Ok, parliamo di calcio, i drammi sono altri ma all'ombra del Vesuvio il sentimento per la propria squadra del cuore è alla stregua di quello di un membro della famiglia: incondizionato, intenso, imperituro. "O Napule è secondo solo alla mamma" è il mantra dei tifosi, che stasera al Maradona vivranno nuovamente sensazioni contrastanti.
Ciò che è stato, ciò che è, con un particolare scherzo del destino: sulla panchina azzurra Antonio Conte, il condottiero di sempre dei decenni trascorsi alla Juventus prima da giocatore e capitano e poi da allenatore e su quella bianconera l'artefice del ritorno al sogno e all'apoteosi azzurra. Tra fedi calcistiche mai sopite, tatuaggi, commozione e delusioni, di una cosa siamo certi: non ci sarà indifferenza. Perché chi ha amato troppo, in quell'angolino scuro, celato e profondo del cuore lascerà sempre uno spazio a colui che ha scritto una bella storia e che in quel momento, era felice di averla plasmata insieme.
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