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“Vent’anni senza il Divin Codino: ah da quando Baggio non gioca più… 

Roberto Baggio, Usa 1994
Nel panorama calcistico mondiale, in pochi risplendono con la stessa luminosità di Roberto Baggio. Il nome del Divin Codino è scolpito nell’eternità non solo per le gesta sportive ma anche per la sua umanità  permeata di passione e...
Vincenzo Bellino
Vincenzo Bellino Redattore 

Nel panorama calcistico mondiale, in pochi risplendono con la stessa luminosità di Roberto Baggio. Il nome del Divin Codino è scolpito nell'eternità non solo per le gesta sportive ma anche per la sua umanità  permeata di passione e sentimento. Un calciatore eccezionale, un poeta con il pallone tra i piedi, un uomo che trasformava il campo da gioco in una tela su cui dipingere con i suoi tocchi magici. Ogni dribbling, ogni passaggio, ogni gol era una composizione artistica, una sinfonia che Roby sapeva suonare con maestria. 

Ma al di là del talento puro, ciò che rendeva Baggio unico era la sua anima sensibile, la sua profonda connessione con l'essenza umana. Nei momenti di gloria, trasmetteva gioia e meraviglia; nei momenti di sconfitta, mostrava dignità e umiltà. Sempre pronto a difendere ciò in cui credeva, anche a costo di andare controcorrente. Una carriera stellare, l'esordio col Vicenza, il passaggio alla Fiorentina, il trasferimento doloroso alla Juventus che segnerà per sempre il rapporto tra le due tifoserie, e poi la duplice esperienza all'ombra della Madunnina con le maglie di Milan ed Inter, in mezzo la parentesi felsinea col Bologna e poi Brescia, l'ultimo canto del Cigno. 

Vicenza e il primo infortunio

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Inizia la sua carriera nel Caldogno, dove si fa notare prima di trasferirsi al Lanerossi Vicenza all'età di 13 anni. Nei settori giovanili mette in mostra tutto il proprio talento, caratterizzato da uno stile di gioco elegante e da una spiccata dote realizzativa. I numerosi gol segnati attirano l'attenzione della prima squadra, mister Bruno Giorgi lo fa esordire a 16 anni in Serie C1 e lui risponde a suon di reti e prestazioni ficcanti, al termine della prima stagione i gol saranno 12 e contribuiranno alla promozione in Serie B della compagine biancorossa. È il giocatore più amato dei tifosi ma nella parte conclusiva del campionato, contro il Rimini di Arrigo Sacchi, subisce il primo grave infortunio della carriera. Pensa anche di chiudere col calcio ma la sua determinazione e l'avvicinamento alla fede buddhista lo aiutano e lo sostengono nel percorso di guarigione. 

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L'amore della Viola

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La Fiorentina lo aveva già acquistato pochi giorni prima e nonostante i problemi fisici, l'allora presidente Ranieri Pontello decide di tenerlo. Baggio disputerà cinque partite di Coppa Italia (1985-1986) e giocherà il Torneo di Viareggio nel 1986, ma esordirà in Serie A solamente nella stagione successiva (1986-1987). La prima gara con la maglia Viola è contro la Sampdoria, il 21 settembre del 1986, che il peggio sia passato è solo un'illusione perchè la settimana successiva una lesione al menisco gli impedisce di scendere in campo fino a maggio. Rientra a Napoli, giusto in tempo per siglare il goal salvezza dei gigliati su calcio di punizione. Il campionato 1987-1988 è quello della svolta, Baggio inizia ad essere impiegato più frequentemente, segna un gol memorabile contro il Milan di Sacchi, saltando tutta la difesa avversaria ed è decisivo nella qualificazione in Coppa Uefa della Fiorentina. L'anno successivo in Toscana arriva Stefano Borgonovo con il quale formerà una coppia d'attacco da sogno che manderà in finale di Coppa Uefa i gigliati. È il primo segno di un destino già scritto, nell'atto conclusivo della competizione ad imporsi sarà la Juventus, la sua prossima squadra. 

Fiorentina-Juventus, il derby di Baggio

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Firenze non ci sta, i tifosi si riversano in piazza per provare a far cambiare idea alla dirigenza e al calciatore, al quale la piazza è troppo legata. Qualche anno fa lo stesso Baggio è tornato sull'argomento, sottolineando il legame speciale che aveva con i supporters della Fiorentina: "Non avevo nulla contro la Juventus, ma volevo rimanere alla Fiorentina. C'erano persone lì che mi avevano aspettato dopo aver trascorso i primi due anni di infortuni. Ci siamo innamorati l'uno dell'altro. Ho promesso che sarei rimasto. Il club non mantenne la parola, la Juve però fu una sfida". 

Il Pallone d'Oro e le incomprensioni con Lippi

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Il trasferimento di Baggio alla Juventus nel 1990 fu uno degli affari più costosi nella storia del calcio italiano all'epoca. Il suo arrivo alla Juventus portò grandi aspettative, considerando il suo status di stella emergente del calcio italiano. Durante il suo periodo con la Vecchia Signora, Baggio raggiunse traguardi significativi e lasciò un'impronta indelebile nella storia del club: protagonista assoluto nella vittoria della Coppa Uefa 1992-1993 dove realizzò tre gol tra andata e ritorno nella semifinale col Psg e fu decisivo nella finale d'andata contro il Borussia Dortmund con una doppietta. Le sue prestazioni straordinarie con la gli valsero il Pallone d'Oro, premio che confermò il suo status di stella del calcio mondiale. 

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Nella stagione successiva (1993-1994) Trapattoni lo schiera principalmente come mezzapunta, alternandolo con Alessandro Del Piero alle spalle di Gianluca Vialli. Nonostante un infortunio al menisco che lo tiene fuori per un periodo, segna 17 gol, classificandosi al terzo posto nella graduatoria dei migliori marcatori e secondo nella classifica del Pallone d'oro. Con l'arrivo di Marcello Lippi, Baggio vive uno dei momenti più difficili della sua esperienza in bianconero, il tecnico di Viareggio lo impiega come ala in un 4-3-3, ruolo non adatto alle sue caratteristiche. Un infortunio al ginocchio destro lo tiene fuori per diversi mesi, durante i quali la Juventus investe su Alessandro Del Piero come futuro leader della squadra. Nonostante ciò, Baggio ritorna e contribuisce con gol importanti alla vittoria dello scudetto e della Coppa Italia (1994-1995), anche se la sua esperienza a Torino termina a causa di dissidi con la dirigenza riguardo al rinnovo del contratto. 

Un derby travagliato e il Bologna

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Dopo 200 presenze e 115 gol con la maglia della Juventus, il Milan di Berlusconi acquista Baggio per 18 miliardi di lire. Nonostante non sia sempre titolare con Capello, le sue reti contribuiscono alla vittoria dello Scudetto. Baggio diventa il quinto giocatore a vincere due campionati consecutivi con due squadre diverse. Con Tabarez le cose sembrano migliorare, ma il Milan fatica e l'allenatore uruguaiano si dimette. In panchina torna Sacchi che riaccende vecchi dissapori col fuoriclasse risalenti al Mondiale del 1994. Nel febbraio 1997, deluso per essere escluso, Baggio critica pubblicamente Sacchi e rifiuta di scaldarsi durante una partita con la Juventus, segnando la rottura definitiva. 

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Nel 1997, Baggio si trasferisce al Bologna per 5,5 miliardi di lire, nonostante le perplessità dell'allenatore Ulivieri. Si distingue subito con 23 gol in 33 partite e diventa capitano, contribuendo alla qualificazione dei felsinei alla Coppa Intertoto e strappando una convocazione per il Mondiale in Francia del 1998. I problemi con gli allenatori continuarono anche nella sua esperienza successiva con l'Inter dove nonostante le difficoltà fisiche continuò a far la differenza in campo. La doppietta contro il Real Madrid in Champions League fu una delle serate più belle vissute in maglia nerazzurra che permise alla Beneamata di qualificarsi ai quarti di finale della competizione europea. Tuttavia con l'arrivo in panchina di Marcello Lippi, Baggio dovette affrontare nuove tensioni a tal punto da arrivare ad accusare il tecnico di di escluderlo per ragioni personali. 

Brescia, il "Baggio" più amato

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Brescia fu l'ultima tappa della carriera di Baggio e alla luce del suo profondo legame con la natura, possiamo definirla una sorta di Arcadia letteraria per il Divin Codino, un luogo idilliaco, caratterizzato da bellezza e serenità. Una sorta di paradiso terrestre dove la figura mitica, in questo caso il giocatore stesso, riuscì a trovare quell'equilibrio mentale e fisico che gli era mancato nelle precedenti esperienze. Qualche infortunio di troppo condizionerà in parte il suo rendimento, ma nei quattro anni con la maglia della Leonessa Baggio divenne il simbolo del Brescia più bello di sempre; con Mazzone in panchina, il contributo di giocatori del calibro di Pirlo, Toni, Guardiola e Di Biaqio, Baggio guiderà le rondinelle al raggiungimento di due qualificazioni Intertoto e di quattro salvezze di fila. A Parma raccoglierà il tributo del Tardini dopo la realizzazione del 205° gol in Serie A, a San Siro la standing ovation della Scala del Calcio, l'abbraccio con Maldini e i titoli di coda di una carriera stellare. L'ultima sinfonia del più grande talento che il calcio italiano abbia mai espresso. 

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Un eroe immortale

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Per capire chi realmente è stato Roberto Baggio e in che modo ha contributo il Divin Codin a far brillare il calcio italiano in Europa e nel mondo, bisogna tornare a Pasadena, alla finale del campionato del Mondo statunitense, al 17 luglio di 30 anni fa. Quel maledetto calcio di rigore che finisce sopra la traversa, la corsa di Taffarel verso i propri compagni di squadra per festeggiare il 4° titolo carioca, la seconda sconfitta di fila dagli undici metri per l'Italia dopo l'eliminazione in semifinale ad Italia '90 contro l'Argentina. Un momento che avrebbe potuto spezzare chiunque, il più difficile della sua carriera. 

Il cammino di Roberto Baggio nel mondo del calcio è stato un susseguirsi di alti e bassi, trionfi e tribolazioni, che hanno scolpito la sua leggenda. In ogni situazione, Baggio ha dimostrato una determinazione e una resilienza straordinaria, accettando il dolore e rialzandosi ogni volta con coraggio. La sua capacità di toccare ogni pallone come se fosse la vita stessa è un'arte che ha incantato il mondo, rivelando sempre l'uomo dietro il campione. 

A vent'anni dal suo ritiro, la sua assenza si fa ancora sentire, non solo nei campi di gioco ma anche nel cuore di chi ha vissuto le sue gesta. In un'epoca dove la velocità e la frenesia dominano il gioco, il ricordo di Baggio ci riporta a un calcio più romantico e genuino. Anche quel rigore tanto discusso ci ha insegnato qualcosa sulla vita: la capacità di affrontare le delusioni e trasformarle in forza. 

Roberto Baggio ci ha insegnato che ogni momento, bello o brutto, contribuisce a creare la sinfonia della nostra esistenza. La sua arte, la sua umanità e il suo coraggio continuano a ispirare, anche oggi, a vent'anni di distanza. Il suo nome evoca emozioni intense e il ricordo delle sue giocate continua a incantare. La domenica, senza di lui, ha perso un po' della sua magia, ma il suo spirito vive ancora in ogni bambino che sogna con un pallone tra i piedi, ricordandoci che in ogni partita della vita, c'è sempre una possibilità di riscatto e meraviglia. 

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