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Stadio Bentegodi, 24 settembre, ore 18.30. Giusto in tempo per l’ora dello Spritz, va in scena Verona-Venezia, derby di Coppa Italia. Due città opposte ma complementari: Verona, solida come le sue mura e Venezia, fragile eppure eterna. Scaligeri contro lagunari, è un derby di simboli: pietra contro acqua.
I dissapori tra Hellas Verona e Venezia FC iniziano ben prima del calcio e affondano le radici nella storia del territorio veneto, frutto di un’antipatia di natura politica e culturale che si è più tardi trasferita sugli spalti e si è sfogata, negli anni ’90 e 2000, in tafferugli ed episodi di violenza che hanno portato a una pioggia di daspo.
A Verona, l’ombra dell’Arena è una presenza fissa che da Piazza Bra si allunga fino alle vie del centro. La chiamano piccola Roma, e ogni pietra, ogni cipresso sembra essere lì per insegnare l’ostinazione di chi sa restare. Città dei Montecchi e dei Capuleti, Verona conosce bene il confine sottile che separa l’amore dall’odio: sotto i portici di Piazza delle Erbe, oggi frequentati da coppie vestite eleganti e universitari a cui piace tirare tardi la sera, ogni sentimento tende a trasformarsi in destino. Un colpo di fulmine diventa passione assoluta, un torto una faida familiare. Se Shakespeare ha scelto Verona come sfondo della storia d’amore tra Romeo e Giulietta, non bisogna dimenticare che si tratta anche di una storia in cui si muore.
In questo scenario si muove la tifoseria gialloblù, orgogliosa erede autoproclamata degli Scaligeri. Tra le più antiche e calde d’Italia, ha fatto della curva sud dello Stadio Bentegodi la sua roccaforte. Gli ultrà dell’Hellas si distinguono per la compattezza sugli spalti e l’inesauribile creatività velenosa dei cori. Ma la loro fama ha anche un lato oscuro: le simpatie verso l’ultradestra e un discusso gemellaggio con i famigerati Chelsea Headhunters hanno contribuito, nel bene e nel male, a renderli un simbolo che travalica le mura cittadine.
Ultimo baluardo del fascismo in fuga e allo stesso tempo medaglia d’oro per la Resistenza; sinistramente affascinata da ideologie decisamente “nere”, ma anche sede di una delle più importanti comunità ebraiche d’Italia: l’identità di Verona, e per estensione quella dell’Hellas, è frastagliata e contradditoria, al di là dell’immagine da cartolina incorniciata di cuoricini che si vuole offrire ai turisti stranieri. Polarizzarne soltanto gli aspetti più oscuri non rende giustizia, così come non serve a nulla negarli. È un lato della città che esiste, e con cui bisogna fare i conti.
A centoventi chilometri di distanza, c’è Venezia: la città che affonda e si specchia nella sua laguna. Nonostante la fama di Instagram opportunity eccessivamente costosa, con ristoranti dai prezzi stellari e alberghi extra lusso, Venezia è (anche) un’altra cosa. Per capirla, bisogna guardare nell’acqua dei canali, sbirciare nei cortili dell’Arsenale, passare una sera di novembre a bere e chiacchierare con degli sconosciuti ai piedi del ponte di Rialto, quando i croceristi se ne sono andati tutti via. Venezia è ruggine e panni stesi, le porte di un bacaro che si aprono per offrirti un’ombra (o svariate) di vino, e la nebbia che scivola tra le calli.
Il Venezia FC riassume tutti i tratti caratteriali della sua città: una mentalità diversa da tutto il resto del Veneto, orgogliosa e tradizionale, ma anche cosmopolita e moderna, sospesa tra provincia e mondo. L’acqua alta non turba i veneziani, figuriamoci se lo fa una retrocessione. L’arancioneroverde è un club romantico: ha indossato e indossa le più belle maglie del calcio e incarna una città che appartiene al mito prima ancora che alla geografia. Ma da un grande passato derivano enormi aspettative.
Negli ultimi anni, una strategia di marketing molto furba ha reso il Venezia una delle squadre più cool d’Europa, coinvolgendo i migliori studi di design e brand locali, fino a inventarsi una partnership con il liquore più noto ma meno bevuto d’Italia, per rilanciare l’immagine del club. Nel frattempo, che ci si arrivi a piedi o dal mare, il tragitto per raggiungere lo stadio Penzo rimane il più bello e il più scomodo del mondo, con le calli che si aprono come un sipario e la struttura che sembra emergere dall’acqua verde. Di certo è una squadra che ha aura. Ma il tifo non è uno shooting pubblicitario: da fuori, l’ambiente appare tiepido tiepido, e a una curva tra le più calde e intelligenti del Paese sembra mancare il contorno di tifosi che meriterebbe.
I precedenti tra le due squadre non sono molti (solo 91 partite), ma raccontano storie di Serie A, Serie B e Serie C, di risalite e cadute, di campionati vissuti in parallelo e incroci segnati più dal destino che dal calendario. Non è una stracittadina, è un derby veneto: un confronto tra due anime dello stesso territorio, dove il campanile è tutto. La Coppa Italia aggiunge qualcosa in più: qui non ci sono punti da difendere o salvezze da inseguire, ma c’è la possibilità di scrivere un capitolo imprevisto, prendersi una rivincita, ribaltare le gerarchie.
Per una notte, tornano a incontrarsi due città che non hanno bisogno di presentazioni, ma di cui il mondo vede solo la superficie dorata: l’Arena e la Laguna, pietra contro acqua.
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