L'EX SIGNOR NESSUNO

Arrigo Sacchi: “Il mio Milan regalava emozioni, Berlusconi? Vi svelo un retroscena”

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Arrigo Sacchi è intervenuto sul Milan degli immortali, Berlusconi, i Mondiali del ‘94, il suo erede e la filosofia del calcio. Arrigo Sacchi è una delle figure più iconiche e leggendarie del calcio mondiale.

Redazione DDD

In occasione del suo settantasettesimo compleanno, Arrigo ha ripercorso le tappe più significative della sua pluriventennale carriera. Un viaggio attraverso gli aneddoti e gli episodi che l’hanno visto protagonista. Il tutto arricchito dai numerosi riferimenti storici e culturali figli della mente di una delle più grandi personalità sportive mai esistite.

Arrigo Sacchi: “Il mio Milan vinceva con merito. Rivoluzionario? In Italia non è difficile”

Arrigo, recentemente ha spiegato di ricevere ancora l’amore e l’affetto dei tifosi ovunque si sposti. Cosa crede di aver lasciato al calcio italiano oltre ai trofei? “Un giorno un giocatore mi disse: ‘Mister lavoriamo troppo, così non mi diverto’. Io gli risposi: ‘Non ho mai saputo che facendo poco si possa avere tanto. E poi non ci dovremmo divertire per una proprietà transitiva: per quanto riusciamo a distrarre quelle settantacinquemila persone che vengono regolarmente a vedere la partita e quei milioni che ci guardano’. Perché vede…quando dai a loro il massimo del tuo impegno e delle emozioni, questi ti saranno grati e riconoscenti per tutta la vita. La UEFA ha messo il Milan dell’89 come la più grande squadra della storia. Globe Soccer l’ha messo al quarto posto, ma le prime tre erano nazionali, quindi anche lì eravamo la prima. France Football ci ha scelto come la più grande squadra del dopoguerra. Due o tre anni fa la Gazzetta organizzò il ‘festival dello sport’ di Trento. Presentavano la squadra in teatro alle 11.30 della mattina. Mi diceva il proprietario del teatro che alle 7 c’era già la fila. Allora vede, il calcio attirerà finché darà emozioni ed evidentemente noi abbiamo dato delle emozioni. E abbiamo vinto con il merito. Le emozioni, il coraggio, l’innovazione, facevano parte del nostro calcio, un calcio che aveva uno stile. Una vittoria senza merito non era una vittoria per noi”.

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Le piace il termine ‘rivoluzionario’ per fotografare il suo calcio? “In Italia basta fare delle cose semplici che si è già un rivoluzionario. Vede, io ero molto bravo in storia - ha proseguito Arrigo Sacchi a FootballNews24 -  e leggendo sono arrivato a delle conclusioni. Le Nazioni che hanno dominato il mondo, quelle più acculturate, erano tutte sul bacino del Mediterraneo: Greci, Assiro Babilonesi, Fenici, Egizi, Cartagine, Roma…mentre i barbari erano oltre le Alpi. Poi succede che ti imborghesisci, ci sono invidie e gelosie…e oggi i barbari sono invece nel bacino del Mediterraneo. E noi come siamo? Siamo un popolo che dopo i Romani è stato invaso un po’ da tutti. E abbiamo cercato di sopravvivere. E perché facciamo catenaccio? I padri fondatori del calcio avevano pensato a questo sport come uno sport offensivo e di squadra, in Italia abbiamo cancellato queste caratteristiche tramutandolo in uno sport difensivo e individuale”.

Quindi il calcio è lo specchio della cultura di un certo Paese? “Assolutamente si. Il calcio è lo specchio, la metafora della storia, della cultura e della civiltà di un Paese. Perché gli allenatori italiani nella maggioranza sono dei tattici? Perché lo siamo nella vita di tutti i giorni. E che differenza c’è tra il tattico e lo stratega? Il tattico aspetta che tu sbagli per punirti. Già Sun Tzu, nel suo libro ‘l’arte della guerra’ diceva che se un tattico incontra uno stratega, per il tattico è odore di sconfitta. Ecco, infatti io non volevo essere un tattico. Noi avevamo un obiettivo, credevamo nell’emozione e nello spettacolo, nel divertimento, nell’inclusione e nell’innovazione. Avevo solo due certezze. La prima: cercavo persone che amassero il calcio. La seconda: che credessero che si può sempre fare di più e meglio”.

A tal proposito, è vero che lei guardava prima la testa e poi i piedi dei calciatori? “Assolutamente si, quando lei ha delle persone che sono dei tattici, delle persone non acculturate, delle persone individualiste, avide e invidiose…queste potranno mai fare squadra? Il calcio è una filosofia, dove è un imperativo etico fare squadra. Fare squadra vuol dire migliorare assolutamente i singoli, ma mai uno potrà avere la forza degli altri dieci. Qualche volta mi sono sbagliato: errare humanum est. Però in generale partivo avvantaggiato perché avevo delle persone che non solo erano disponibili, non solo amavano quello che facevano, non solo erano generose, ma avevano anche modestia, voglia di migliorarsi e intelligenza. Allora io gli facevo vedere degli esercizi e loro me li rimandavano migliorarti, io seguivo loro e loro seguivano me. Ma quando invece dall’altra parte c’è una persona menefreghista…cerchi di convincerla una volta, due volte, ma poi la metti da parte”.

A proposito di convincere. Ci racconta come ha fatto Berlusconi a portarla al Milan il 3 luglio dell’87? “In Italia si parla sempre di fortuna e sfortuna. Io allora allenavo il Parma, vincemmo il campionato di Serie C e andammo in Serie B. Il presidente del Parma organizzò una partita amichevole col Milan di Berlusconi. Il Milan aveva appena comprato cinque giocatori della nazionale italiana: Bonetti, Giovanni Galli, Massaro, Donadoni e Galderisi. Facemmo 0-0, venne il presidente del Parma e mi disse: ‘Ci sarebbe Berlusconi che ti vorrebbe conoscere. Berlusconi venne e semplicemente mi confessò: ‘La seguirò’. Una ventina di giorni dopo in Coppa Italia venimmo sorteggiati nel girone con il Milan. La prima partita saremmo dovuti andare a farla a Milano ai primi di settembre. Andammo e vincemmo 1-0. Dopo la partita tornò Berlusconi che si congratulò con me e mi disse: ‘La seguirò anche in campionato’. Noi e il Milan passammo il turno, altro sorteggio per i quarti e pescammo ancora il Milan. Li affrontammo e vincemmo ancora. Quindi siamo andati due volte a San Siro e li abbiamo battuti due volte. Dopo due o tre giorni mi chiama Ettore Rognoni che era il capo di Mediaset calcio, nonché un mio amico, e mi dice: ‘Domani sera hai impegni? Perché ti vengo a prendere e andiamo a casa di Berlusconi‘. E così fu. Solo che io avevo già un appuntamento con la Fiorentina fissato per il venerdì. Berlusconi mi sembrava di conoscerlo da una vita, fu bravissimo. Lui sapeva che avevo già un appuntamento con una società di Serie A e mi chiese di rimandare quell’appuntamento. Tornai a Parma la mattina seguente e prima di iniziare l’allenamento chiamai di nuovo Ettore Rognoni e gli dissi: ‘Ringrazia Berlusconi, ma non posso rimandare l’appuntamento’. Allora lui mi rispose: ‘Ma tu sei matto, ho parlato con Galliani e al 99% sei già un allenatore del Milan‘”.

Ma io continuai: ‘No, mi dispiace ma non voglio essere scorretto’. Verso le 18 tornai a casa dopo l’allenamento col Parma e mia moglie mi disse: ‘Chiama subito Ettore che ti ha cercato’. Chiamai allora Ettore che mi disse: ‘Domani sera non ci sarà Berlusconi perché è via, ma ci saranno suo fratello con Confalonieri e Galliani, ti hanno preso! Allora io andai e gli dissi: ‘O siete dei geni o siete dei pazzi, ma in ogni caso devo riconoscere che avete avuto coraggio. Datemi il contratto, questa è la mia firma e metteteci la cifra che volete’. Galliani che è un furbacchione mi mise meno di quanto prendevo a Parma. Ma vede, se metti i soldi davanti hai già messo un bastone alla tua crescita. Quando andai ad allenare il Rimini in Serie C pochi giorni prima un giornalista scrisse: ‘Per il Rimini si fa il nome di Angelino come allenatore, oppure di Domenichini quindi grandi giocatori e poi si fa il nome di un certo Arrigo Sacchi, ma per favore non facciamo certi nomi’. Questa era l’accoglienza. Quando mi presentarono al Milan, un giornale scrisse: ‘Domani il Milan presenta il Signor Nessuno‘. Così mi venivano bruciati quattordici anni di campionati, dove ne avevo vinti diversi e in più non ero mai stato esonerato. Ed allenavo tutte squadre che partivano per doversi salvare (ride, ndr)”.

La storia le ha poi dato ragione però “Ma vede, l’Italia è un paese strano. È un Paese, che ripeto, ha conosciuto tempi fantastici e poi oggi…oggi abbiamo sbagliato i valori. Pensiamo che la furbizia sia un valore, ma la furbizia non è un valore: è sinonimo di disonestà. Pensiamo che le conoscenze valgano più della conoscenza, di solito non è così, ma in questo Paese si. In questo Berlusconi mi ha aiutato molto. Berlusconi è stato veramente un grande presidente. France Football mi ha inserito tra i primi tre allenatori della storia, io li ringrazio ma ero già contento di essere il trentesimo (ride, ndr). Tutte le volte che ricevevo un riconoscimento io chiamavo Berlusconi e condividevo. Perché non ci può essere grande squadra se non c’è un grande club dietro. E lui è stato bravissimo. Io gli ho fatto risparmiare bei soldi non essendo un tattico: il tattico è quello che non ti dà un bel gioco e il gioco ha un gran vantaggio: non costa”.

Il gran finale: “Una volta andai in Inghilterra e Mark Hughes mi chiese: ‘Ma come ha fatto a far saltar fuori quella squadra dall’Italia, che se il campo fosse lungo 2 chilometri lì troveremmo tutti negli ultimi metri?’. E io gli spiegai che avevamo una grande società alle spalle, con dei grandi giocatori e delle grandi persone. Prima di tutto le persone”.

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