QUELLE CENTOMILA COPIE...

Buon compleanno, vecchio Guerino!

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110 anni di vita...

Redazione DDD

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Penso che un sogno così non ritorni mai più: lo so, è l’incipit di Volare e i diritti d’autore vanno pagati a Franco Migliacci, che altrimenti Marino s’incazza e non mi fa più scrivere, ma per descrivere “quel” Guerin Sportivo non c’è modo migliore. Anno di grazia 1977, estate: chiuso il quarto anno di Liceo Scientifico, apro la mia collaborazione con il Guerino. Avevo 18 anni e in cuor mio sapevo che cosa avrei fatto da “grande”: lo stesso mestiere di mio padre, il direttore sportivo. Mi piaceva il calcio, ero affascinato da quel mondo capace di calamitare su di sé tutte le attenzioni semplicemente con la forza delle chiacchiere. Un solo problema, a ripensarci oggi: mio padre non ha mai saputo di questa mia intenzione. Già, perché mentre mi accingevo a preparare l’anno della Maturità, fu proprio lui a spingermi in direzione opposta. L’unica materia in cui mai avevo avuto problemi era Italiano: scritto, perché per l’orale serviva addirittura studiare… Così, a metà giugno, venni catapultato in Via dell’Industria, a San Lazzaro di Savena: mio padre era il diesse del Bologna, il suo presidente si chiamava Luciano Conti e insomma non state a credere a chi vi dice che oggi si va avanti solo con le raccomandazioni: capitava anche allora e io ero un raccomandato.

Il Guerin Sportivo era entrato nella mia vita quand’ero bambino...

Cioè quando mio padre tornava a casa al lunedì sera con quel giornalone in bianco e nero dove al posto delle fotografie c’erano le vignette. Sono cresciuto a pane, pallone e Guerino. Ma un conto era leggerlo, il giornale, e un altro farlo. Oddio, per contribuire a “farlo” impiegai qualche annetto, però la prospettiva era quella. Che redazione era, quella del 1977? Vista con gli occhi di oggi, un’Armata Brancaleone guidata da un Brancaleone che tutto era fuorché… Brancaleone. Italo Cucci era arrivato qualche anno prima a dirigere il Guerino. Le malelingue dicevano che Conti l’aveva assunto perché come capo dei servizi sportivi del Resto del Carlino gli rompeva le scatole nel suo ruolo di presidente del Bologna. Più probabilmente, era stata l’ennesima intuizione felice di un uomo che trasformava in oro tutto ciò che toccava.

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Arrivo al Guerino e vengo subito adottato dai senatori: molti li conoscevo già (volevo fare il direttore sportivo, quindi “dovevo” conoscere i giornalisti…), altri li conobbi al momento, ma con tutti il rapporto fu subito ottimo. Ero il ragazzo di bottega, dovevo occuparmi di piccole incombenze che per gli altri erano grandi rotture di scatole. Per prima cosa, Cucci mi affidò il Guerin Club: due o tremila lettori che pagavano una tassa d’iscrizione avendo in cambio una tesserina di cartone e qualche bollino per accelerare la pubblicazione dei loro annunci sulla Palestra dei Lettori. Non chiedevano altro; offrimmo loro – su indicazione del direttore – un autentico filo diretto: la gente scriveva, io rispondevo e così imparai a conoscere il patrimonio più prezioso del Guerino, i suoi lettori.

Il Guerino aveva un altro patrimonio dal valore inestimabile: l’archivio. La prima cosa che mi insegnò Cucci fu l’importanza di tenere aggiornati l’archivio e la rubrica telefonica, perché la memoria storica non va dispersa e ogni contatto – anche casuale, anche banale – in questo mestiere può tornare utile in futuro. Misi piede in archivio e trovai… l’apocalisse. Che aveva un nome e pure un cognome, Beppe Galassi, il quale aveva seguito Cucci nella trasmigrazione dal Carlino al Guerino assieme a Roberto Guglielmi, di qualche anno più giovane e destinato al ruolo di caporedattore. Beppe no, non era portato per un lavoro di organizzazione, così quando faceva incazzare il direttore – erano molto legati, ma capitava spesso – quest’ultimo lo spediva in archivio a riflettere. Mettere Galassi in archivio era come portare una sogliola in alta montagna: mi ritrovai a dover fare il mio, di lavoro, e anche il suo, però sempre con il sorriso sulle labbra, perché voler bene a Beppe era una delle cose più semplici al mondo.

Il Guerin Club, l’archivio: la mia carriera faceva passi da… gigante! Dopo qualche mese, ebbi un altro incarico: ricevere per telecopier la rubrica del Conte Rognoni, il babbo dell’ex direttore di Sportmediaset. Piccolo inciso per i lettori più giovani: il telecopier era l’antenato del fax (che tanto un fax non l’avete mai visto, però mi andava di dirvelo). A Milano, il Conte – o chi per lui – inseriva il foglio in un rullo collegato al telefono e il sottoscritto a San Lazzaro di Savena vedeva apparire magicamente il dattiloscritto. Trattenete il sorrisino di scherno, ragazzacci svezzati da I-Phone e I-Pad: dovreste avere una cinquantina d’anni per capire di che miracolo si trattasse! Intorno a me, si agitava la www. Vado in ordine sparso, sperando di non dimenticare troppe persone. Di Galassi e di Guglielmi ho detto. Il lavoro definito di “cucina”, ovvero di coordinamento, era affidato a Claudio Sabatini. Il deus ex machina del calcio internazionale, autentico fiore all’occhiello del Guerino e novità assoluta nel panorama giornalistico italiano, era Stefano Germano. Per illustrare pregi e difetti di Stefanone occorrerebbe un supplemento di spazio disco. Quindi, mi limiterò all’essenziale. Caposervizio del calcio internazionale, era troppo incasinato per ricoprire il ruolo senza sbavature: storiche le sue litigate con il direttore (sì, credo di poterlo dire: Cucci non aveva un bel carattere e per realizzare il suo progetto spesso faceva volare gli stracci), storica la sua capacità di attingere notizie da ogni parte del mondo. Si esprimeva in inglese, francese, spagnolo, ma se ne avesse avuto bisogno non si sarebbe fermato neanche di fronte al giapponese: grazie a lui, il Guerino creò uno squadrone di corrispondenti che copriva tutti i continenti. Se c’era qualcosa da sapere, Germano lo sapeva un po’ prima degli altri e lo raccontava ai nostri lettori.

In segreteria giganteggiava Serena Zambon: giornalista, organizzatrice nata, mamma per vocazione, tappava tutti i buchi ed evitava che ne creassimo di nuovi. A dare man forte in redazione – prima che arrivasse Patrizio Zenobi, probabilmente il miglior caporedattore nella storia moderna del Guerin Sportivo – piombavano a San Lazzaro nei giorni di chiusura Elio Domeniconi (eccola, la memoria storica del Guerino), Alfio Tofanelli (Serie B) e Orio Bartoli (Serie C). Chi non c’era – perché alla domenica e al lunedì riposava – era invece Pina Sabbioni, alla quale Cucci aveva affidato l’inserto Play Sport & Musica (da preparare assieme a Gianni Gherardi e Daniela Mimmi). Intorno a loro, dopo di loro, tutti noi. Intendo i più giovani, perché all’epoca un ragazzo che voleva fare il giornalista aveva addirittura qualche chance – raccomandazioni a parte – di entrare in una www. Facevi l’abusivo (per quanto mi riguarda, tre anni di onesto abusivato a 50.000 lire al mese, raddoppiate poco prima dell’assunzione, datata agosto 1980), ma almeno respiravi l’aria del giornale, capivi come funzionava il meccanismo e carpivi qualche segreto a chi la gavetta l’aveva già fatta. Sul finire degli anni Settanta, ci trovammo in quattro senza contratto a frequentare la redazione del Guerino. Passi per me, ma gli altri erano – in ordine alfabetico – Darwin Pastorin (che poi avrebbe diretto Tuttosport, Stream e La 7, rimanendo guerinetto nel profondo dell’animo), Luciano Pedrelli (che poi avrebbe fatto carriera a Repubblica) e Paolo Ziliani (caporedattore a Sportmediaset). Insomma, parafrasando il Sommo, io fui quarto fra cotanto senno…

Quel Guerino toccò le 100.000 copie vendute in occasione della Stella milanista, poi sbaragliò tutti nell’82 con il Mondiale di Spagna; fu una grande fucina di talenti; soprattutto, riuscì a tener vivo il fuoco sacro che dal 1912 anima il Guerriero con la penna in resta. Poi vennero altri due Giganti, Adalberto Bortolotti e Marino Bartoletti, e il Guerino visse altri momenti di gloria, così capitarono pure alcuni pigmei, nella stanza del direttore, ma lo spirito guerinesco fu più forte della loro cialtroneria. Oggi non c’è più Galassi, non c’è più Germano, non c’è più Guglielmi, non c’è più Sabatini; Cucci, Bortolotti e Bartoletti sono in altre faccende affaccendate. Ma se lo cercate, il Guerino è sempre lì, al suo posto, in edicola. Magari un sogno così non tornerà più, però il Guerino ci sarà sempre.

P.S. La foto che pubblico è tratta dal primo numero del 1982. Andammo a festeggiare i 70 anni del Guerino in una trattoria di San Lazzaro (no, non eravamo da Romano perché stava ristrutturando La Mura…) assieme allo stato maggiore del Bologna. Il ragazzotto in prima fila, in basso a sinistra, con il maglioncino azzurro e visibilmente accaldato, concluse la serata parcheggiando la sua (no: di sua madre) 500 cabriolet azzurrina (ça va sans dire) in un fossato a 500 metri dal ristorante. Che abbia cominciato a perdere i capelli quella sera per lo spavento? Boh...

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