PIOLI L'ASTICELLA

Come valutare l’era Pioli al Milan

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Le aspettative sono cambiate. Se l’asticella è così alta, è anche merito di Stefano Pioli.
Redazione Derby Derby Derby

analisi a cura di Calciodatato.com -

L’idea che l’allenatore sia un uomo solo non è verità rivelata. Per carità, non è troppo lontana dalla verità, ma le manca un pezzo per essere completa: l’allenatore è un uomo solo quando le cose non vanno bene. Messa giù così torna utile anche per descrivere il ciclo di Pioli in rossonero. Il Milan gli ha regalato l’estate più bella della sua vita. Lo ha fatto sentire amato come mai in carriera. Lui che viveva di bocconi di tranquillità inseriti tra un mezzo successo e l’altro. Mai troppo male per uscire dal giro, ma nemmeno così bene da trovare casa un po’ più a lungo. In questa lunga fine, Pioli viene raccontato con scherno. Sembra quasi che i pezzetti di grande squadra che ha messo insieme nel tempo siano crollati sotto il peso di una visione troppo ambiziosa per combaciare con il profilo di Stefano Pioli. Quello che nel novembre 2019 nessuno voleva. Lo stesso che hanno mandato via un po’ tutti, prima o poi. La dimensione del suo lavoro al Milan si è ridotta a suon di derby persi, squadre spezzate in due e difficoltà nel tornare a competere con quelle più in alto.

E se Pioli fosse invece il secondo miglior allenatore del Milan del 21esimo secolo?

Il 21° secolo è ancora giovane e il Milan ha passato vent’anni difficili se escludiamo l’era d’oro di Ancelotti: Tassotti, Terim, Ancelotti, Leonardo, Allegri, Seedorf, Inzaghi, Mihajlovic, Brocchi, Montella, Gattuso, Giampaolo. Magari metti Allegri davanti a Pioli, va bene. Aveva ereditato gli anni di fantasia dell’era Leonardo e ci aveva aggiunto pacchi di voglia di vincere con Van Bommel, Ibra, Robinho. Quella era una squadra forte forte. Pronta per vincere. Ma va bene. Esco subito dal campo delle opinioni per rendere chiare le mie intenzioni: si può valutare l'era Pioli anche in maniera diversa, meno soggettiva. Per farlo, ho esaminato l'evoluzione del rendimento del Milan negli anni, le difficoltà croniche contestate a Pioli nelle ultime due stagioni e la crescita dei rossoneri nel contesto europeo dal suo arrivo. Iniziamo dal rendimento.

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(Photo by Giuseppe Cottini/AC Milan via Getty Images)

I grafici mostrano quanto ha prodotto e concesso il Milan nelle ultime stagioni. Le due linee indicano gli expected goals a favore (in azzurro) e contro (in arancione). Si tratta sempre di medie sulle 10 partite, per evitare di lasciarsi influenzare troppo dall'andamento di una singola partita o di perdersi dettagli importanti guardando solo a stagioni intere. Le squadre forti sono quelle che creano spazio anche tra queste due linee qui. L'obiettivo è non farle mai toccare, non vedere mai quella arancione alzarsi sopra a quella azzurra. Ecco, all'arrivo di Pioli, le due linee del Milan viaggiano a braccetto da troppo tempo. La squadra produceva tanto quanto concedeva. Aveva un rendimento da metà classifica, più adatto a una salvezza tranquilla che a posizioni europee. Non si trattava di una situazione temporanea, di una crisi di passaggio. Bisogna risalire fino agli albori della stagione con Gattuso (ad ottobre 2018) per ritrovare una squadra capace di mostrare un rendimento degno delle aspettative.

Si può guardare al grafico come a una mappa evolutiva del Milan recente. Se ci prendiamo qualche secondo, possiamo cogliere i vari periodi dell'era Pioli. Si nota la rinascita del Milan giovane e verticale che fa crescere i propri talenti in un contesto sensato. Nel novembre 2020 arriva a produrre più di 2 expected goals a partita, una media mai più eguagliata nei 3 anni e mezzo seguenti. L'entusiasmo sembra spegnersi in un finale melodrammatico ma Pioli ne esce con Theo dentro al campo per scompigliare i riferimenti dell'Atalanta e chiudere al secondo posto. Le grandi squadre sono quelle che mettono spazio tra le due linee (quelle di xG a favore e contro), dicevamo, ed è proprio quello che emerge dalla stagione dello scudetto. La produzione offensiva non tocca mai i picchi storici, ma si stacca sempre netta da quella avversaria. Il Milan concede sempre meno arrivando a soli 0.7 expected goals a partita nelle ultime 10 di campionato. C'è da mantenere il passo per restare su quei livelli, linea blu sopra linea arancione. Ci riescono fino alla crisi nera dell'inverno seguente. Pioli perde uomini e solidità, si guarda in giro, e in un mare di difese a cinque mascherate da difese a tre si fa tentare. La produzione offensiva crolla (da 1.9 a 1.2 expected goals a partita ad inizio 2023), ma la squadra si mostra efficace facendo densità attorno alla propria area e difendendo meglio la porta anche con un blocco medio-basso. Almeno in Europa.

L'estate dei grandi cambiamenti ha alzato ambizioni che si sgonfieranno da lì a pochi mesi. Arrivano le sconfitte interne, le difficoltà in Europa, gli infortuni che fanno sparire l'80% della linea difensiva. Per la prima volta dal 2020, la linea arancione si rialza sopra la linea azzurra. Il Milan arriva a concedere più di 1.4 expected goals, in media, nelle 10 partite sul finire del 2023 e, dopo un periodo di apparente stabilità, si dimostra nuovamente fragile nel derby meno digeribile della sua storia. Per larga parte dell'era Pioli, il valore del percorso è stato definito, percepito, raccontato in funzione di quello dell'Inter. È successo nell'anno dello scudetto, nelle coppe, nei due derby che il Milan vince nel 2022 e che poi inizia a perdere nettamente, quasi prima di entrare in campo. Di fronte all'Inter, a questa Inter, si è spezzata l'idea di una squadra che con Pioli potesse ancora ambire ad essere la migliore in Italia. Il confronto stracittadino ha portato nel tempo a insicurezze e certezze così spesse da incastrarsi dentro alle identità delle due squadre. Nei sei derby vinti di fila, Inzaghi ha sfruttato le attitudini del Milan a suo vantaggio. Ha vinto i duelli a tutto campo contando sui suoi maestri dell'inganno. Ha utilizzato le esche seminate dalla sua elaborata costruzione per aprire ampie fette di campo alle invasioni dei suoi centrocampisti. Ha colpito il Milan quando cercava di recuperare palla in alto e quando si metteva a specchio. Lo ha fatto così spesso da far pensare 'vedi che questi non sanno cosa fare con noi?'.

Mai come nei derby il Milan si è mostrato vulnerabile, infantile. Quante volte ci ha fatto chiedere come sia possibile preparare così male una partita, un derby, così tanti derby?vvb Nelle ultime due stagioni, l'Inter è stata la seconda squadra che ha prodotto di più contro il Milan, la quarta per qualità delle occasioni create e ancora la seconda per miglior differenziale registrato contro i rossoneri. Lo si intuiva anche senza i numeri, sì, ma il peso della sofferenza aumenta se consideriamo che, rispetto alle altre, questi sono distribuiti su 6 partite (4 di campionato e 2 di Champions League). Pioli non può essere perdonato per un divario del genere, non in un'epoca in cui Inter e Milan avrebbero dovuto competere alla pari, non dopo lo scudetto, o dopo aver aggiunto fisicità, soluzioni individuali, profondità e talento alla tua rosa. Certo, le scelte estive hanno trascurato le necessità di una linea difensiva ormai fragile da anni, ma il loro peso, si sa, finisce per ricadere anche sull'allenatore. Se nei primi anni in rossonero a Pioli veniva riconosciuta la capacità di competere ad alto livello con risorse limitate, i rinforzi delle ultime due stagioni hanno evidenziato alcuni suoi limiti nel gestire al meglio l'inserimento dei nuovi. Ha smesso di credere in De Ketelaere troppo presto, forse non convinto della possibilità di inserirlo con successo in un Milan che faticava ormai anche da altre parti. Chukwueze non ha ancora assunto un ruolo più largo di quello di agente del caos. Okafor si limita a riempire i vuoti lasciati dai limiti di Giroud e Reijnders non sembra nelle condizioni di esprimere al meglio le sue qualità. Adli è stato prima inadeguato, poi necessario, quindi panchinabile ma ogni tanto anche insostituibile. In questi mesi Pioli sembra aver perso la forza di vendere le idee che trasforma innovatori teorici in grandi allenatori, ma l'arte da venditore di Stefano da Parma è venuta fuori forte con Pulisic e Loftus-Cheek. Facile vendere idee se proponi a un centrocampista meno lavoro in costruzione, più ricezioni avanzate, tra le linee o dentro l'area. I carri potenti provenienti dalla Premier League, poi, fanno bene in Serie A anche quando ci passano soltanto gli ultimi anni di carriera.

Eppure il rendimento dell'inglese non va dato per scontato. Pioli ha saputo elevare al massimo i diversi talenti che ha portato a Milano. Lo ha alzato di qualche metro, liberandolo da compiti di costruzione e sviluppo per sfruttarne le corse con e senza palla. Lo ha trasformato in uno dei migliori invasori d'Europa, uno di quelli che riempiono i grafici a sonar offensivi in questo modo qui. Se per Loftus-Cheek l'idea si vendeva da sola, con Pulisic il lavoro di convincimento deve aver richiesto qualche energia in più. L'americano é finito per dare spessore a una catena di destra che soffriva di complessi di inferiorità da ormai troppi anni. Pioli lo ha spinto a sfruttare di più la sua capacità di incidere in verticale, anche senza palla, o largo a destra, a stirare le difese avversarie verso la linea laterale. Lo so, fino adesso non ti ho portato troppi elementi per considerare Pioli come il secondo miglior allenatore rossonero di questo secolo. Dammi quindi la possibilità di inserire un elemento in più valutare meglio il suo ciclo all'interno della storia recente del Milan. Il rating Elo si sposa benissimo con quello che vogliamo misurare perché semplice e consistente nel tempo. Si basa sui risultati e sul valore dell’avversario che affronti. Batti una squadra più forte? Il rating sale. Perdi in casa con l’ultima in classifica? Aspettati di perdere parecchi punti. Dei modelli Elo avevo già scritto qualche mese fa. Il loro rating non vale molto di per sé ma ha un forte potere comparativo. Ci permette di cogliere il livello delle diverse squadre europee grazie ad un ranking basato proprio sul rating Elo. Lo si può utilizzare per andare indietro nel tempo, per confrontare le ere e valutare come si inserisce il ciclo di un allenatore all’interno della storia di un club. Anche per quello di Pioli, quindi.

Nell'ottobre 2019, il Milan è ancora in cerca di identità. Giampaolo si perde tra commenti su Paquetá, tentativi poco convinti con Suso e un Leao che non sa bene dove mettere. Al suo arrivo Pioli trova una rosa, più che una squadra. Il Milan è 60° nel ranking Elo dietro a Deportivo Alaves, Espanyol, Young Boys e Stella Rossa. La scalata verso l'alto non inizia subito. C'è da passare prima da Bergamo, dal 5 a 0 con cui l'Atalanta sbatte in faccia un livello di completezza che non si vede ormai da anni in rossonero. A dodici mesi dall'arrivo di Pioli, il Milan è 22° per rating Elo. A due anni di distanza 17°. Oggi solo 11 squadre in Europa hanno un rating Elo superiore a quello dei rossoneri. Se pensi a Sacchi, Capello o alla forza elitaria del gruppo di Ancelotti, undici squadre sono tante, lo so. Ma la crescita è innegabile. Dal tonfo di Bergamo ad oggi, il Milan ha cambiato proprietà, uomini e dirigenza. Pioli non è stato un uomo solo in questo percorso di crescita. A lui va però riconosciuto un lavoro non banale. Ha colto le attitudini emergenti di una rosa giovane per trasformarla in un gruppo vincente. Lo ha fatto con idee nuove, sbagliando partite, perdendosi per strada talenti ma ottenendo qualcosa di raro nella storia recente dei rossoneri. Forse il Milan sta per entrare in una nuova fase di splendore. Forse sarà il prossimo il secondo miglior allenatore del 21° secolo. Le barriere all’ingresso non sono alte, ma c’è da fare qualcosa di importante per arrivare nei posti là in alto.

 

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