QUESTIONE DI SCELTE

CR7 e Ibra: grandissimi campioni, divisi da un particolare

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Il portoghese ha bisogno di sentirsi star assoluta in una squadra top per rendere al meglio, Ibra invece vuole rendere grandi le squadre in cui arriva, traendo il meglio e, in alcuni casi, anche ciò che pare impossibile.

Redazione DDD

di Max Bambara -

Le intemperanze di Cristiano Ronaldo in questo Mondiale fanno sorgere una riflessione. Perché il campione portoghese, tutte le volte in cui non riesce ad essere prima stella assoluta, inizia a mettere il proprio smisurato ego davanti al collettivo?

Non è la prima volta

Era successo anche al Real Madrid dove il rapporto fra Cristiano ed il club spagnolo aveva iniziato a diventare teso negli ultimi anni di permanenza del portoghese. Nelle sue ultime stagioni a Madrid (fra il 2015 ed il 2018) Ronaldo aveva raggiunto probabilmente il picco della sua carriera: tre Champions League vinte da protagonista, due palloni d’oro consecutivi, la media praticamente perfetta di un gol a partita (137 gol in 138 gare in tre anni). Di solito quando l’idillio sul campo è totale, anche fuori dal campo le cose vanno benissimo. Nel suo caso tuttavia non era così. Ronaldo soffriva di “gelosia finanziaria”. I top del Barcellona (Messi e Neymar) prendevano uno stipendio nettamente superiore al suo (45 milioni l’argentino, 38 milioni il brasiliano a fronte dei “soli” 21 milioni che il Real gli aveva riconosciuto dopo l’ultimo rinnovo del 2017). In più il portoghese si mostrava infastidito dalle frasi del presidente Perez che provava a corteggiare Neymar. “Se Neymar vuole diventare il più forte al mondo deve trasferirsi qui da noi”.

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Per Cristiano non basta sentirsi il numero uno. Deve essere considerato da tutti quanti il numero uno. E se ciò non avviene dentro di lui si rompe qualcosa e non riesce ad essere più utile alla squadra come dovrebbe. Non per una scelta consapevole, bensì per una sorta di limite mentale del portoghese. Il suo trasferimento alla Juventus è stato soddisfacente per lui sul piano personale (oltre 100 reti segnate in tre stagioni), ma non è riuscito a raggiungere l’obiettivo che si era preposto, ovverosia vincere la Champions League anche senza il “suo” Real Madrid. Non a caso, quando la Juventus ha iniziato a non rinforzare la squadra come lui desiderava, in Ronaldo si è subito rotto qualcosa e ha chiesto al club di essere ceduto. La Juventus ha colto la palla al balzo perché finanziariamente un altro anno di Ronaldo rischiava di essere un salasso intollerabile, ma dal punto di vista tecnico dovette subire una cessione il 28 di agosto senza avere un piano B credibile sul mercato.

In questo Cristiano Ronaldo è l’esatta antitesi di Zlatan Ibrahimovic. Lo svedese è un moltiplicatore del valore di chi gli sta attorno. Ha scelto consapevolmente di tornare nel Milan a dicembre 2019, dopo che i rossoneri avevano perso 5-0 a Bergamo e barcollavano mestamente a metà classifica. Cristiano mai avrebbe accettato una soluzione del genere, anzi mai l’avrebbe considerata degna di lui. Per lui già la “sua” Juventus che aveva conquistato a fatica il quarto posto nella stagione 2020-2021, non era più sullo stesso livello delle sue ambizioni. Per Ibra, invece, l’ambizione è trasformare anche le rape in oro e ha visto nel Milan un trampolino per la propria smisurata voglia di andare oltre ogni limite. Ronaldo ha bisogno di una squadra che giochi al suo servizio e che ne riconosca la leadership dal presidente all’ultimo dei giocatori in rosa. Ibrahimovic ragiona in maniera diversa. Vive di sfide impossibili e quando è arrivato al Milan si è dato l’obiettivo di vincere il campionato. Tutti lo prendevano per matto, ma lui ci credeva davvero. Solo Ibra poteva diventare il trascinatore di un gruppo di giovani di talento che sentivano eccessivamente il peso della maglia e di un ambiente non semplice. Ronaldo avrebbe messo davanti le sue insofferenze, la sua necessità di garantirsi sempre il meglio del meglio. Stiamo parlando di due grandissimi campioni, due doni che il Dio del calcio ha fatto agli innamorati di questo sport. Ma non cogliere questa differenza sarebbe un errore. Prendete il comportamento di Ronaldo nel Mondiale, con la sua reazione volta a mettere in discussione il ruolo dell’allenatore dopo che questi gli aveva risparmiato 20 minuti di una partita inutile. Ronaldo è così: vuole giocare sempre perché pensa a segnare. L’interesse della squadra ad averlo fresco a distanza di qualche giorno viene dopo la sua esigenza di iscrivere il nome nel tabellino dei marcatori. Ibra invece mette la squadra dinanzi anche alle sue legittime ambizioni. Nel girone di ritorno dell’anno scorso ha scelto di non operarsi al crociato e di giocare con il dolore per fare il subentrante di lusso. Nelle 11 partite finali Zlatan ha giocato solo spezzoni per un totale di circa 100 minuti (recupero compreso). Ronaldo non lo avrebbe mai fatto perché privo della predisposizione d’animo necessaria. Non fa parte di lui e di quel senso di grandezza che ha quasi la necessità di esibire. Probabilmente la reale differenza fra i due sta nella serenità. Ibra è un uomo maturo che è consapevole di sé stesso, di tutto quello che ha fatto e che non si vergogna del mondo da cui proviene. Nel suo libro di qualche anno fa ha addirittura descritto nei dettagli la povertà in cui viveva da ragazzino e la fame che ha effettivamente patito che è stata il vero motore della sua ambizione. Ronaldo invece ha addirittura pagato qualcuno per distruggere la vecchia casa di Madeira dove viveva con la madre, come se per lui fosse un’onta da cancellare quel passato di sofferenze, di miseria, di povertà. Si tratta di sfumature determinanti, dettagli di vita che condizionano il loro approccio al calcio. Ronaldo e Ibra sono due giocatori immensi, ma il primo ha bisogno di vedere continuamente riconosciuto il proprio carisma; Ibra, di contro, è così sicuro del proprio carisma da volerlo mettere sempre alla prova con sfide nuove e stimolanti. Ha ragione Aldo Cazzullo: il narcisismo è la forza e, nel contempo, il limite di Cristiano Ronaldo. Ibrahimovic, invece, è un narciso che si è evoluto, che ha completato la propria formazione personale e che coniuga ormai in maniera armoniosa ciò che era e ciò che rappresenta adesso.

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