Un anno e mezzo dopo, il Real Madrid torna a regnare nel Clásico. Al Bernabéu finisce 2-1, con le firme di Mbappé e Bellingham, i due simboli di un progetto che ha ritrovato forza, carattere e identità. Il gol di Fermín López aveva illuso un Barcellona ancora fragile, incapace di reggere l’urto emotivo e tattico di una squadra che sembra aver imparato l’arte di vincere anche soffrendo.
L'Editoriale
Fattore Bellingham e corto muso: il Real Madrid torna Re col Barcellona

Fattore Bellingham
—È tornato da poco, ma è come se non fosse mai andato via. Jude Bellingham è il centro di gravità permanente di Xabi Alonso. Dopo aver deciso la sfida con la Juve, l’inglese si è preso anche il Clásico: assist per Mbappé, gol del raddoppio, e la solita intelligenza tattica nel collegare i reparti.
Un’onnipresenza elegante e feroce, la cui importanza va oltre le statistiche: Bellingham è la bussola emotiva del Real, il giocatore che trasforma la pressione in controllo, il caos in ordine. Xabi lo ha aspettato, lo ha gestito, e ora se lo gode. Perché con Bellingham in campo, il Real ha di nuovo un centro nevralgico capace di unire la qualità con la disciplina, l’estro con il sacrificio.

Kyller Mbappè
—Ha segnato, si è visto annullare due gol dal Var, si è fatto parare un rigore da uno straordinario Szczęsny, ma non ha mai smesso di trascinare. Il suo strapotere fisico e mentale ha spaccato in due la difesa blaugrana, continuamente in affanno nel coprire la profondità. Kylian (Kyller) Mbappè è l’emblema della personalità collettiva di questa squadra. Un Real che non domina col pallone, ma con la convinzione. Che accetta di stare basso, di soffrire, di aspettare. Terza partita di fila vinta di misura (Getafe, Juve, Barça): il “corto muso” di Xabi Alonso funziona eccome.

Real Madrid: "Soffrire per dominare"
—La metamorfosi tattica è evidente. Meno possesso, più densità, più reattività. Il Madrid vince il Clásico con appena il 32% di palla, ma controlla tutto il resto: spazi, tempi, nervi. Una squadra che ha imparato a leggere il ritmo, a respirare insieme, a colpire quando serve. Dietro, Militao e Huijsen hanno retto ogni urto. Camavinga ha reinventato la fascia, Valverde ha corso per due. È un Real che difende come blocco e attacca come spirito.

I limiti del Barça
—Il Barcellona di Flick (squalificato e in tribuna), invece, continua a oscillare tra estetica e fragilità. Il talento non manca — Lamine Yamal, Fermín, Pedri — ma la squadra non trova equilibrio. Ogni volta che attacca con tanti uomini, si espone a contropiedi micidiali. La linea difensiva sale senza coordinazione, il centrocampo si spezza e il pressing si trasforma in autogol. È un Barça bello ma vulnerabile, che ancora non sa come convivere con la propria giovinezza.

Un finale da dimenticare
—E poi, quello che non avremmo voluto raccontare. Al fischio finale più che su un campo da calcio, sembrava di stare al Far West: spinte, insulti, mani addosso. Vinicius, già furioso per la sostituzione, trattenuto dai compagni per evitare che si scagliasse contro Lamine Yamal. In mezzo, Carvajal e Courtois, De Jong e Raphinha, e persino l’intervento della Polizia a calmare gli animi. Un epilogo vergognoso che ha offuscato tutto ciò che di bello aveva regalato il terreno di gioco.
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