Reazione d’orgoglio, coraggio e personalità, ma anche tanta imprecisione. La Juve, dopo il ko in campionato contro il Como, incassa anche la prima sconfitta stagionale in Champions League. Al Santiago Bernabéu il Real Madrid si impone 1-0 grazie a una rete di Jude Bellingham, conquistando il primo posto a punteggio pieno insieme a PSG, Bayern, Arsenal e Inter (9 punti). I bianconeri, invece, scivolano al venticinquesimo posto con 2 punti, momentaneamente fuori anche dai play-off.
L'Editoriale
Mentalità, cuore e rimpianti: Madrid o Como, Juve cosa vuoi fare da grande?

Rispetto alla trasferta in riva al lago lariano, la prestazione è cresciuta, la voglia non è mancata, ma uscire a testa alta non può e non deve più bastare. Non è un trofeo da esporre in bacheca. Può rappresentare un punto di ripartenza, certo, ma non deve diventare un punto d’arrivo.

Sliding doors e rimpianti
—Sliding doors e rimpianti. La sfida del Bernabéu cambia volto al 52’, quando Vlahovic, lanciato in campo aperto dopo un ottimo disimpegno della difesa bianconera, si fa ipnotizzare da Courtois: il portiere belga cancella l’1-0 della Juventus e apre la strada al vantaggio madrileno, firmato cinque minuti più tardi da Bellingham.
I rimpianti sono inevitabili: segnare per primi al Bernabéu avrebbe potuto stravolgere l’equilibrio tattico e costringere gli uomini di Xabi Alonso a scoprirsi nell'ultima parte di gara. Magari sarebbero nate altre occasioni per la Vecchia Signora, considerando che le merengues avrebbero dovuto attaccare a testa bassa per rimettere in piedi la gara.
Ma le ipotesi non fanno la storia, e soprattutto non portano punti. A decidere, ancora una volta, sono stati i dettagli, quelli in cui la Juve è mancata, nonostante una prova nel complesso sufficiente. In occasione del gol del Real, la tripla (se non quadrupla) marcatura su Vinicius non è bastata: la paura di fare fallo ha prevalso su quella di subire, permettendo al brasiliano di sgusciare tra tre maglie e calciare verso la porta. Il pallone, dopo aver colpito il palo, è finito sui piedi precisi e letali di Bellingham.
Dalle disattenzioni alla superficialità: l’ultimo segnale bianconero arriva con Openda, che nei minuti finali spreca l’occasione del pareggio. Uno stop di troppo, quanto basta per permettere alla retroguardia del Real di riorganizzarsi e deviargli il tiro, spegnendo così l’ultimo lampo di speranza della Juventus.
Juve, la mentalità si vive ogni giorno
—Certe partite si preparano da sole, perché il fascino e la tensione che accompagnano certe notti europee non si possono riprodurre artificialmente. Il Como non è il Real Madrid e viceversa, e per quanto il calcio insegni a non sottovalutare nessuno, è inevitabile che le motivazioni che trasmette una gara di Coppa al Bernabeu siano di un’altra dimensione rispetto a quelle che può offrire il Sinigaglia. Lì, dove ogni tocco di palla riecheggia nella storia, i giocatori sentono il peso e il privilegio di rappresentare qualcosa di più grande. Tuttavia, la vera sfida non è emozionarsi davanti a 80.000 spettatori, ma riuscire a mantenere la stessa concentrazione, la stessa intensità e lo stesso rispetto del gioco anche quando la cornice è meno maestosa. È lì che entra in gioco la mentalità, quella che distingue chi ha l’abitudine di competere ai massimi livelli da chi ancora ci si deve abituare.
Sette anni fa, la Juventus di Buffon, Chiellini e Mandzukic vinse al Bernabeu per 3-1, ma fu eliminata per via dello 0-3 dell’andata. Di quella notte, oggi, l’unico superstite è Rugani: un dato che racconta quanto profondo sia stato il ricambio e quanto questa Juve si stia ancora costruendo un’identità europea.

Per molti di loro, era la prima volta su un palcoscenico simile, e in certe partite non basta giocare bene: serve esperienza nella gestione dei momenti, capire quando affondare e quando respirare. Per strappare un punto al Real, devi meritare di vincere, devi importi con carattere e lucidità. Il pareggio sarebbe stato forse il risultato più giusto, ma per onestà intellettuale va riconosciuto che Di Gregorio ha tenuto in vita la Juve con parate decisive, soprattutto prima dell’occasione finale di Openda.

In questo contesto risuonano forti le parole di Giorgio Chiellini, che ha ricordato quanto certi valori vadano custoditi e tramandati: “Io ho avuto la fortuna di avere persone che hanno tramandato certi valori; quando vedi un fiume che scorre con quei valori o li prendi e li fai tuoi, oppure resti indietro. I giocatori hanno un grande cuore e sono pronti pian piano a prenderseli”.
Ecco il punto: la fame, la mentalità, la voglia di imporsi non possono accendersi solo contro il Real Madrid. Devono essere una costante, un marchio di fabbrica. È per questo che la prossima sfida di campionato contro la Lazio diventa fondamentale: deve essere la prova di maturità, la conferma che questa Juve non gioca “alla grande” solo quando l’avversario si chiama Real.

Chiellini è cresciuto in uno spogliatoio pieno di Campioni, in cui i valori si respiravano ogni giorno, e da quell’ambiente è uscito un leader vero. Oggi, la domanda è inevitabile: chi sono i leader di questa Juventus? Chi sarà in grado di raccogliere quel testimone invisibile che fa la differenza nei momenti di difficoltà? Perché le partite si vincono con i gol, ma le stagioni si costruiscono con la mentalità. E quella, come insegnava Chiellini, non si improvvisa: si assorbe, si tramanda, si vive ogni giorno.
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