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Ai tanti che davano il Napoli come stragrande favorito e quasi unico contendente per lo scudetto, l’Inter ha risposto con un sonoro 5-0 all’esordio contro il Torino. È un segnale forte nei confronti del campionato, che mette subito in discussione le griglie estive che avrebbero voluto i nerazzurri in difficoltà. È un messaggio a chi nutriva dei dubbi su Cristian Chivu, a chi aveva preventivamente bocciato la scelta del club e a chi aveva già preannunciato passi indietro. Perplessità e incertezze che hanno senso, ma fino a un certo punto.
La prestazione della prima Inter di Cristian Chivu sono state accolte con uno stupore lecito, ma a larghi tratti immotivato. O comunque, esagerato a quanto sarebbe stato sufficiente. A legger commenti e cronache varie, pare quasi che nessuno si sarebbe aspettato di vedere una Inter forte, in grado di vincere e convincere. Come se il cambio in panchina avesse potuto resettare automaticamente tutto ciò che c'era stato prima.
Senza entrare nel merito della scelta dell’allenatore – sicuramente sorprendente se si rapportano la carriera del tecnico e lo status dei nerazzurri –, va detto che un filo logico, comunque, c’è. Quella dell’Inter è stata sicuramente una decisione coraggiosa, ambiziosa, forse un po’ azzardata, ma non per questo campata per aria. Anzi, lavorare sulla base di quanto costruito in questi 4 anni da Simone Inzaghi potrà offrire alla società e all’allenatore stesso una sorta di porto sicuro.
Ciò che vogliamo dire è che in questa prima fase l’Inter andrà sostanzialmente avanti con il pilota automatico, perché 4 anni di lavoro, di concetti, di movimenti e di abitudini non si cancellano in un attimo. A confermarlo c’è, ad esempio, la rotazione tra difensori e centrocampisti di stampo inzaghiana puntualmente riproposta ieri sera. Il modulo, che doveva essere e forse in futuro sarà il 3-4-2-1, è rimasto invece il 3-5-2. E dunque, tra il prima e il dopo, è cambiato veramente ben poco. Sia nell’atteggiamento, che nell’interpretazione, che nella resa effettiva.
La forza della scelta dell’Inter sta proprio nella continuità, nel non aver cambiato gli uomini, nell’aver scelto un allenatore che va nella stessa direzione di quello precedente. Chivu avrà l’opportunità di lavorare con calma perché ha la garanzia che la squadra una propria identità la ha già, sa già come stare in campo e cosa fare. Per lui sarà una sorta di apprendistato, un modo di fare esperienza con la pratica, così come all’epoca lo fu per Simone Inzaghi che poté lavorare sulle fondamenta della squadra di Antonio Conte. Certo, ad un punto della stagione, poi, anche Chivu sarà chiamato ad incidere e a dare il suo contributo.
Insomma, chi ha fatto testo sui chiaroscuri del Mondiale per club ha preso una svista, dimenticando troppo facilmente tutti i fattori fisici, mentali ed emotivi che possono aver accompagnato quella spedizione. L’Inter di Chivu si costruirà nel tempo e lo farà su una base ben consolidata, su uno scheletro di una formazione che è arrivata a 2 punti dallo scudetto e in finale di Champions League.
Che dir si voglia, ma la realtà è che l’Inter è addirittura migliorata rispetto allo scorso anno. C’è un Sucic in più a centrocampo, che in queste prime battute ha dato la sensazione di potersi rivelare un gran colpo. Forse, anche migliore di quanto ci si sarebbe aspettati. Sulla fascia è arrivato Luis Henrique, che potrà offrire soluzioni diverse sulla destra ma anche sulla sinistra. E poi l’attacco, con Ange-Yoan Bonny (già in gol) e Pio Esposito, non si può dire che non abbia fatto un upgrade rispetto ad Arnautovic, Taremi e Correa.
E dunque, perché mai la vittoria dell’Inter, o, più in generale, questa Inter, dovrebbe essere una sorpresa?
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