COMPLIMENTISSIMI AL GENOA

Ko tecnico al Campionato

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La video assistenza è in vigore dalla stagione 2018-2019. Quali sono i problemi? Nell’ordine: volenti o nolenti, gli arbitri devono capire che si dirige in due, che l’uomo solo al comando, alla Concetto Lo Bello, non esiste più.
Redazione Derby Derby Derby

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Essendo già "finito" il campionato, per il k.o. tecnico inflitto dall'Inter alla concorrenza, mi ero dedicato a Sheffield United-Arsenal 0-6. Volevo verificare un argomento da rubrica: se venti squadre sono troppe anche per la Premier. Temo di sì: che cioè siano troppe persino per gli inglesi.

Avevo registrato la partita di San Siro

1) L’Inter ha cambiato marcia e sfodera un calcio molto bello e molto ardente, e dal momento che siamo in un Paese tendenzialmente servile (o, nella migliore delle ipotesi, servizievole), ecco le scorte. Non da ieri. Nel caso specifico del suo Genoa, dalla spinta di Bisseck sul gol di Arnautovic dell’andata al rigorino di Frendrup su Barella. Già generoso (e comunque complicato) a velocità normale, e poi in base a un’immagine che il Var non avrebbe passato ad Ayroldi, così mi hanno riferito, inesistente. Sono sincero: dopo il blitz allo schermo, non lo avrei dato, ma se lo dai - per paradosso - devi poi espellere il danese. Tanto per dire. Ogni fan ha ormai un armadio pieno zeppo di scheletri (altrui): apre e ti serve ciò che non ti conviene (ma gli conviene).

Ko tecnico al Campionato- immagine 2

2) Le capriole postume di Barella. Ho dedicato fior di saggi ai carpiati di Cuadrado, alla scuola fiorentina del Novecento, agli svenimenti di soggetti che, appena caduti, sbirciano l’arbitro e, in caso di penalty, fanno il pugnetto. Ricordi sempre un dettaglio: i giocatori devono essere superiori a tutti (e, per questo, scambiano spesso l'artificio per furbizia tollerata o tollerabile); l’arbitro deve essere superiore a tutto, ed è molto, molto più difficile, fra gettoni di presenza (sostanziosi: mai però tali, come per i calciatori, da garantire la pensione), carriera limitata nel tempo. Dopo i Mondiali del 1990, il potere passò dai difensori agli attaccanti. La Fifa sbavava per qualche gol (in più). L’effetto piscina ne è stato un’automatica conseguenza. La più plateale, la più normale. La più diseducativa. Al di là del tocco, dell’impatto, del contatto, dello sfregamento. Se stupri l’involontarietà, non puoi poi giurare sulla verginità dei protagonisti: troppo forti le tentazioni. Dal divano è facile resistere, ma dal campo? Oggi il sommo Dante scriverebbe (in generale, non mirando a tizio o a caio): «Ed elli avea del cul fatto piroetta».

Pensi: all’epoca dei mani-comi aperti da Rizzoli (stagione 2019-2020), c’erano tecnici che allenavano i loro giocatori a tirare sulle braccia. Coraggio.

3) Il Var. Il Var siamo noi. Un pugno di campanili. A cominciare dai giornalisti, il sottoscritto in testa (naturalmente). C’è la settimana in cui diciamo che al Var bisogna andarci di più; c’è la settimana in cui diciamo che al Var bisogna andarci, sì, ma senza esagerare; c’è la settimana in cui diciamo hai visto? vanno al Var e cambiano sempre decisione; c’è la settimana in cui diciamo hai visto? è andato al Var e non ha cambiato decisione. Mi spiego: le norme sono sempre quelle dei padri fondatori, cambiate sono le interpretazioni delle interpretazioni, i cavilli, le integrazioni, le postille. E’ come se lei, gentile Marco, decidesse di ristabilire l’ordine nel suo Bronx attraverso una ronda tecnologica che però, dalle autorità vigenti e cogenti, riceve un pacchetto di leggi così ambigue da sabotarne l’applicazione. E dunque: rigore, perché distanza ravvicinata ma braccio largo; non rigore, perché braccio largo ma distanza ravvicinata. Lo so, è un paradosso, ma mica tanto.

Come ho scritto un sacco di volte, in alcuni casi il Var risolve (reti-fantasma attraverso la goal line; palla in o out al limite dell’area per fissare eventuali rigori; fuorigioco all’alluce); ma in molte circostanze continua a decidere, tipo il caso di ieri sera a San Siro. E se decido, senza risolvere, non è detto che prenda sempre la decisione giusta. Per tacere del fuorigioco semi-automatico, che il Fantozzi della Corazzata Potemkin avrebbe definito, correttamente, una «Boiata pazzesca». O è automatico o non lo è. Tertium non datur.

Inoltre. Scrivemmo, all’alba: il Var decreterà la morte delle moviole. Mai profezia si rivelò più errata. Le moviole si sono letteralmente moltiplicate. Non solo: oggi c’è il filmatino del tifoso che, dalla curva o dai distinti, becca un «attimo» in contraddizione (per lui tifoso) con le sequenze ufficiali della sala Nasa di Lissone. Un bel labirinto (gentile eufemismo).

4) Last but not least, il Genoa. Complimentissimi. E’ una squadra che ha un’anima e un corpo, nel senso di spirito e di adesione a un qualcosa che piace e viene condiviso. Gilardino mi ha sorpreso. Non lo facevo così moderno, lui centravanti d’antico pelo (come visione e gestione del ruolo). Pratica un calcio concreto che non strappa iperboli, ma mette in difficoltà gli avversari e, immagino, stuzzica coloro che lo svolgono. Gila ha valorizzato il dribbling di Gudmundsson e sta cercando di ricavare da Retegui i gol «argentini». Ci sono la bussola di Badelj e le gambe di Frendrup e Sabelli, nonché la garra feroce di Vasquez. Nella mia griglia estiva, on line su «Eurosport», il Grifo occupava il 16° posto, addirittura. Scrivevo: «Una matricola con una storia infinita. Ma qui è di salvezza che bisogna parlare. Il credito di Gilardino è figlio della promozione diretta. Retegui, Messias, Thorsby e Malinovskyi sono rinforzi che dovrebbero alzare il livello. Il pubblico, inoltre, racchiude in sé un «dodicesimo» che, per tradizione, si mangia i luoghi comuni». Oggi il Genoa è dodicesimo, appunto. Chapeau.

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