ALLA RICERCA DELL'EQUILIBRIO

La necessità di un cambio di strategia

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La squadra non ha equilibrio in fase di non possesso, prende troppi gol ed è meno efficace quando attacca: è il momento di derogare alle idee ed ai princìpi di gioco classici del “piolismo” per ritrovare la compattezza

Redazione DDD

di Max Bambara -

Le considerazioni di Paolo Maldini, Stefano Pioli e Sandro Tonali, alla fine di Lazio Milan, sono state tutte molto mature, serie, ragionate e ponderate. Autocritica certamente, ma anche difesa di ciò che il Milan ha fatto sinora. Uscendo però dal seminato delle dichiarazioni ufficiali diventa importantissimo porre la questione principale che inerisce il modo in cui la squadra sta in campo. Il tema fondamentale è proprio questo: il Milan non riesce ad essere efficace nelle due fasi, sia in fase di non possesso avendo subito 12 gol in 5 partite, sia in fase di possesso dove i gol fatti, invece, sono soltanto 4 nelle ultime 5 gare, con ben 3 partite in cui il Milan non è riuscito a segnare. Dall’attuale sistema di gioco dipendono quindi due problemi abbastanza palesi: la mancanza di equilibrio fra i reparti e l’aridità offensiva. Partiamo dal primo punto. L’attuale Milan è totalmente spaccato in campo e fra i reparti si aprono voragini sin dalle primissime fasi di gioco.

Perché questo accade?

L’idea di Stefano Pioli è quella di andare a prendere alti gli avversari con il pressing per cercare di recuperare palla in zona offensiva. Ma, in questa fase della stagione, le energie della squadra, sia fisiche, sia nervose, non sono quelle dei tempi belli ed è anche abbastanza normale che sia così. In nove mesi di campionato i cali di forma sono naturali. Se poi consideriamo che questa è una stagione totalmente atipica, condizionata come non mai dal Mondiale invernale, è facile comprendere come l’attuale modulo sia un attentato agli equilibri. D’altronde, se si sceglie di fare un pressing ultra-offensivo la squadra deve poi avere il coraggio e la forza di rimanere alta e corta fra i reparti. Il Milan, in questo momento, non ce la fa e ciò appare sin troppo evidente. Gli spazi di campo da coprire per i due interni della mediana (Bennacer e Tonali) sono enormi. Tutto questo toglie lucidità ad entrambi in fase di costruzione e priva di certezze una linea difensiva che si sente scoperta e con poco filtro davanti. Fa bene Pioli a dire che in questo momento mancano le giuste coperture, ma ad una corretta analisi dovrebbe accompagnare qualche rimedio di carattere tattico. Magari un centrocampista in più al posto di uno dei trequartisti, oppure uno spartano 4-4-2 da spolverare per qualche settimana, almeno sino a quando la buriana non sarà passata. La radice del problema attuale del Milan è rappresentata da uno squilibrio tattico mostruoso. Il Milan, d’altronde, è l'unica squadra in Europa che gioca con 4 giocatori offensivi sulla trequarti. Il Bayern Monaco, il Manchester United ed il Napoli applicano lo stesso sistema di gioco, ma hanno un centrocampista bilancino a trequarti (Musiala, Bruno Fernandes, Zieliński) che gli consente di non andare sotto con i numeri in mezzo al campo.

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Ma veniamo al secondo punto. Il Milan non riesce più ad attaccare con efficacia come, invece, gli capitava nelle stagioni precedenti. I numeri offensivi, piano piano, stanno iniziando ad assumere connotati sempre più esigui. Che cosa sta succedendo? Semplicemente gli avversari hanno fatto la tara sul gioco del Milan. In pochi vengono a pressare alta la squadra di Pioli, se non nei momenti maggiori di disorganizzazione e confusione. Gli avversari fanno quasi sempre densità a ridosso della propria area di rigore per togliere al Milan la possibilità di andare dentro con i triangoli. In questo tipo di contesto la soluzione migliore sarebbe optare per una scelta diversa rispetto alle classiche triangolazioni per tentare di andare in porta, aumentando semmai il numero e la qualità dei cross dalle fasce e riempendo l’area con almeno 4 giocatori. Non è il calcio tipico del Milan ma, in un momento di vacche magre, meglio badare alla sostanza, piuttosto che porre questioni di lana caprina sulla forma. Identità, idee, principi, sono tutte parole bellissime che spesso sentiamo provenire dalla voce del nostro allenatore. Sono concetti che non solo condividiamo ma che sentiamo appartenere alla tradizione del Milan. Poi però ci sono anche gli avversari, la nostra condizione fisica, la tenuta psicologica del gruppo, qualche inconveniente del post Mondiale. E allora, probabilmente, meglio derogare ai propri princìpi perché sono i risultati che poi orientano umori, situazioni e giudizi.

Anche la storia rossonera ci dà ottimi esempi in proposito. Senza le scelte spartane di Fabio Capello il Milan non avrebbe mai realizzato l’accoppiata campionato/Champions League nel 1994. Se Carlo Ancelotti, nel 2007, non avesse optato per schierare Ambrosini al posto di una punta, non esisterebbe la settima meraviglia nella bacheca rossonera. E senza le scelte forti di Massimiliano Allegri del novembre 2010 (i famosi 3 mediani) il Milan non avrebbe mai vinto il 18esimo scudetto. Ma scelte meno nobili sul piano estetico ci sono state anche nel 2015 con Mihajlovic, con l’adozione di un 4-4-2 che, fino all’infortunio di Niang, tenne il Milan in linea di galleggiamento per la Champions League e nel 2018-19 con Rino Gattuso. In quella stagione Gattuso, dopo gli infortuni di Biglia e Bonaventura ad ottobre, cambiò completamente l’uscita della palla del Milan evitando il fraseggio da dietro e sfiorando la qualificazione alla Champions League con una squadra non certo di grande livello. Ci sono dei momenti nella vita di un club in cui la sostanza deve per forza prevalere sulla forma, perché continuare ad inseguire concetti non concretamente realizzabili rischia di rivelarsi un boomerang. Il Milan, per uscire da questa crisi di identità e di risultati, ha il bisogno assoluto di compattarsi. E per farlo deve iniziare a tenere i reparti corti per non prendere gol. Deve farlo anche a costo di qualche noiosissimo zero a zero. La stagione è ancora salvabile. Per proseguire nel percorso il Milan deve entrare in Champions League anche quest’anno. Non si cresce soltanto proponendo idee di calcio; si può crescere anche raggiungendo risultati in sofferenza, snaturando alcune caratteristiche per la causa comune. Il club, il Milan, rimane il bene supremo. E deve venire prima di qualsiasi principio.

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