I DUE POLI

Le differenze sostanziali fra Milan e Juve

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Due percorsi diversi scanditi da evoluzione e conservazione

Redazione DDD

di Max Bambara -

Qualche giorno fa Demetrio Albertini ha elogiato il Milan per il percorso compiuto fino ad oggi, aggiungendo tuttavia che alla squadra rossonera manca un attaccante da 20 gol. Legittima opinione quella dell’ex centromediano rossonero ma, ad oggi, non suffragata dai fatti. Il Milan, sinora, ha giocato 8 partite ufficiali, segnando 16 reti, ossia una media perfetta di 2 gol segnati a partita. In questo tipo di considerazioni d’altronde, si cela una concezione del calcio e del gioco in cui le lancette del tempo sono rimaste ferme e immobili. La realtà invece è molto meno semplicistica ed ha contenuti più complessi, evoluti e raffinati.

Il Milan di oggi è una squadra moderna e dai tratti europei

Il Milan gioca un calcio d’avanguardia in cui il pressing, la corsa e i movimenti senza palla sono preminenti rispetto alle individualità dei suoi migliori elementi che esaltano le loro doti all’interno di un contesto di squadra in cui il collettivismo delle idee prevale sull’individualismo dei gesti. Stefano Pioli è stato molto bravo, nel corso dell’ultimo triennio, a creare una squadra capace di andare oltre i propri limiti con un’identità forte e marcata. Due anni fa il Milan rischiò di passare il turno in Europa League giocando senza attaccanti (tutti out per infortunio) e con Castillejo centravanti adattato. L’anno scorso ha vinto il campionato pur potendo disporre in tutto il girone di ritorno di un solo centravanti, ossia Olivier Giroud. In questo Milan le idee e i principi vengono prima dei nomi che, comunque, ci sono e con l’andare del tempo stanno assumendo sempre maggiore importanza. Ha ragione tuttavia Paolo Maldini quando, dinanzi ad una domanda diretta sul rinnovo di contratto di Rafael Leao, evidenzia come è anche interesse del giocatore rinnovare, perché quello rossonero è l’ambiente giusto per lui al fine di crescere ancora. Perché oggi il Milan è un’isola felice che consente alle qualità dei giocatori di emergere pienamente all’interno di un sistema di calcio proattivo. Non manca un centravanti da 20 gol pertanto: dirlo significa valutare il Milan, la squadra italiana con principi di gioco più moderni insieme al Napoli, con parametri analitici decisamente vetusti e stantii.

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Esattamente l’opposto sta succedendo a Torino. La Juventus è il club che negli anni scorsi ha dominato in lungo e in largo il campionato italiano. Oggi, invece, si guarda allo specchio tristemente senza riuscire a riconoscersi. La squadra bianconera ricorda quelle donne bellissime che non temono confronti ma che, ad un certo punto della loro vita, sono costrette a fare i conti, all’improvviso, con l’avanzare degli anni, con le rughe, con le smagliature, con i primi capelli bianchi. Nel calcio, a differenza che nella vita, c’è la possibilità di tornare giovani nelle idee, un concetto che, tuttavia, il club sabaudo non è stato sinora capace di cogliere, preoccupato dalla necessità di riproporsi subito al grande calcio come squadra vincente che non ha bisogno di improntare un progetto. Il risveglio da quest’utopia è stato quasi drammatico. La squadra bianconera, da anni, individua le cause dei propri insuccessi negli allenatori. Tre anni fa venne mandato via Allegri, colpevole di non aver vinto la Champions League. Un anno dopo fu il turno di Sarri che si era limitato semplicemente a vincere uno scudetto. Poi ci fu l’azzardo di Andrea Pirlo, che non aveva mai allenato fino ad allora e che venne giubilato a fine stagione nonostante il quarto posto raggiunto. Il ritorno di Allegri non ha dato i frutti sperati ed oggi anche il tecnico che ha vinto 5 scudetti consecutivi viene scannato pubblicamente come colpevole principale di questa situazione. Se tre indizi fanno una prova tuttavia, forse il problema della Juventus non è il tecnico (Sarri e Allegri sono peraltro agli antipodi come visione del calcio), bensì l’idea che si possa tornare a vincere senza una progettazione, ammassando giocatori con un nome importante, con annessi ingaggi faraonici. Ed invece il calcio di oggi si è evoluto diversamente. Non cogliere questo aspetto rappresenta il cuore del problema. Senza pressing e corsa a tutto campo si rimane dei monoliti in preda dell’avversario. Alla Juventus è accaduto qualcosa di simile contro il Benfica. La squadra di Allegri non è stata sovrastata nel gioco, bensì bella corsa, nei movimenti senza palla, nella capacità degli avversari di produrre continuativamente degli uno contro uno a tutto campo. Una costante per la Juventus: quando i ritmi si alzano in ogni partita, il team bianconero fa fatica a sostenerli. Il motivo? La Juventus ha tanti giocatori dal nome altisonante, ma sono quasi tutti calciatori posizionali, elementi che vogliono la palla sui piedi e che tendenzialmente non amano attaccare gli spazi (fatta eccezione per Cuadrado e Kostic). C’è, sostanzialmente, un’idea sbagliata nella costruzione della squadra, antitetica alla modernità del calcio contemporaneo. In Italia però, come sempre, si preferisce ridurre tutto all’allenatore di turno. Appare alquanto bizzarro, finanche parossistico, come uno sport collettivo come il calcio venga valutato essenzialmente sulla base di parametri individuali, in taluni casi persino personali. Follie del nostro paese.

 

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