QUEL MODO DI DEFINIRE GAZIDIS...

Legittime perplessità

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L'aspetto fondamentale da cogliere è l'incompatibilità fra la visione dirigenziale di Maldini e la politica aziendale di un club in cui il rapporto fra le aree gerarchiche vive di confronto aperto e condivisione continui.
Redazione Derby Derby Derby

di Max Bambara -

Trascorsa ormai una settimana dall’intervista di Paolo Maldini ad Enrico Currò su Repubblica, è possibile porre qualche riflessione ponderata sulle dichiarazioni rilasciate dall’ex responsabile dell’area tecnica rossonera.

Qualche riflessione sulle parole di Paolo Maldini

TIMING. La libertà di parola è sacra. Non ci piace discutere in merito al timing di un’intervista. Poteva farla prima o dopo, è un tema francamente poco appassionante, anche perché ciò che conta davvero è il contenuto delle sue dichiarazioni, un contenuto molto lontano da un approccio morbido e profondamente ancorato ad una legittima visione delle cose targata Paolo Maldini.

TEMA FONDAMENTALE. In realtà ciò che emerge in maniera lampante dalle parole dell’ex grande capitano rossonero è un concetto basilare: l’idea di gestione di una società da parte di Maldini è totalmente incompatibile con la gestione ordinaria di un club moderno.

Dall’intervista si denotano rapporti non buoni – per usare un pallido eufemismo – con il proprietario Gerry Cardinale, con il presidente del club Paolo Scaroni (“non ci ha dato mai supporto”, “andava via prima della fine delle partite se si perdeva o pareggiava ma era in prima fila per lo scudetto”), con l’attuale CEO Giorgio Furlani, con il management operativo del club e persino con l’ex CEO Ivan Gazidis. Tutte queste “scarse simpatie” non possono che generare fibrillazioni interne. E le fibrillazioni sono antitetiche ad una qualsivoglia logica aziendale perché, nel lungo periodo, possono generare una serie di dinamiche apertamente disfunzionali. Nelle società sportive l’ultima parola, quella definitiva, appartiene a coloro i quali mettono i soldi o che, comunque, garantiscono la cosiddetta continuità aziendale. Sono loro, i proprietari, che scelgono i dirigenti e sono sempre loro a decidere se sostituirli o meno, in base alle loro valutazioni. Sono sempre i proprietari a poter contestare l’operato dei propri dirigenti; il contrario non è possibile.

DOVERE DI RISERVATEZZA. I dirigenti sono liberi di dimettersi se hanno una visione aziendale diversa rispetto a quella della proprietà. Lo fece Leonardo al Milan alla fine della stagione 2018-2019. I dirigenti, tuttavia, hanno un dovere assoluto di riservatezza in ordine a tutto ciò che è accaduto all’interno del club durante il loro interregno, anche nel caso in cui siano volati i cosiddetti coltelli. Non rispettare il dovere di riservatezza per mettere in piazza tutte le problematiche e le antipatie sorte durante il periodo di collaborazione gestionale, è una scelta rispettabile da parte di Maldini ma che non può non finire nell’occhio del ciclone della critica.

Un esempio può essere chiarificatore. Nel 2018 Beppe Marotta lasciò la Juventus. Le cronache giornalistiche hanno sempre narrato della sua rottura del rapporto con Andrea Agnelli, soprattutto dopo l’acquisto di Cristiano Ronaldo (da Marotta non voluto) che a giudizio dell’attuale dirigente interista avrebbe condotto allo sfascio le casse sociali del club torinese. Anche se i fatti, nel lungo periodo, gli hanno dato ragione, Marotta non ha mai rilasciato interviste o dichiarazioni al vetriolo contro la sua ex squadra o contro l’ex proprietà del club. La differenza tra i due diversi modus agendi sta nel fatto che Marotta è un dirigente che ha scelto di fare il dirigente mentre Maldini è un ex campione che vuole fare il dirigente (e al Milan lo ha fatto anche con buoni risultati), ma non riesce ad abbandonare la mentalità del grande campione.

SFUMATURE DI RUOLO DIRIGENZIALE. Ha perfettamente ragione Maldini quando sostiene che il suo lavoro, quello di direttore tecnico, non può esplicarsi soltanto con le sessioni di calcio mercato; è un ruolo molto delicato che inerisce tutta la stagione perché è indispensabile una figura professionale che stia vicino ai giocatori, che ne accompagni la crescita e che li stimoli nella maniera più opportuna nei momenti di difficoltà. In questo aspetto Maldini è stato eccellente nel suo percorso professionale. Ed è opportuno sottolineare come nel Milan attuale, fino a quando questo ruolo rimarrà scoperto, ci sarà un vulnus pesante nel collegamento fra la squadra e la società.

GAZIDIS. Le uscite infelici succedono a tutti e non è il caso di stare con il ditino puntato. Stride però che un personaggio come Maldini, icona di classe in tutto il mondo, si permetta di etichettare l’ex Amministrato Delegato del Milan Ivan Gazidis come il “CEO sudafricano”. Questo passaggio non sarà sfuggito a tanti milanisti che hanno amato e apprezzato Gazidis, sia come dirigente capace ed illuminato e sia come persona perbene e dai grandi valori umani. Maldini può avere le sue legittime rimostranze verso l’ex CEO del club ma dovrebbe ricordare che è stato il primo e unico dirigente che gli ha dato la possibilità di gestire l’area sportiva del “suo” Milan. Nessun altro prima lo aveva fatto. Un minimo di rispetto e di riconoscenza è dovuto anche da parte dei grandi campioni.

 

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