LUI E' LA STORIA...

L’immensità di Carlo Ancelotti

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Non è vero che ci sono solo due categorie di allenatori nel calcio; ce n’è anche una terza, quella dei pragmatici
Massimo Bambara

Arrigo Sacchi, da tanti anni, sostiene che esistano due categorie di allenatori: gli strateghi e i tattici. Gli strateghi – a suo giudizio – sono gli allenatori che hanno un progetto e sanno come arrivarci. I tattici, invece, sono quegli allenatori che aspettano l'errore dell'avversario. In questa legittima opinione si celano la grandezza e i limiti di Arrigo Sacchi. L’ex allenatore del Milan infatti è un visionario che ha realizzato un’utopia irripetibile (il suo Milan lo è stato per quasi 4 anni a cavallo fra il 1987 ed il 1991) ma che, di quell’utopia, è rimasto schiavo, non riuscendo a vedere oltre gli steccati dell’ideologia calcistica e riducendo, per l’appunto, il calcio in un dualismo che non rispecchia fedelmente la realtà.

Non è vero che esistono soltanto gli strateghi e i tattici

Esiste infatti una terza categoria di allenatori che si pone esattamente a metà del guado. Sono allenatori che credono in una strategia di gara proattiva e propositiva ma che sono disposti a ricorrere alla tattica nei momenti in cui le contingenze e le esigenze della squadra lo richiedono. Il più grande fra questa terza categoria di allenatori è ovviamente Carlo Ancelotti, un tecnico che è stato allievo di Sacchi e che da Sacchi ha appreso tantissime cose, senza tuttavia divenirne schiavo. Anni fa, in un’intervista a cuore aperto, Carlo Ancelotti ammise di essere stato un pazzo nel 1997 a rifiutare l’arrivo di Baggio a Parma. Riteneva che l’arrivo di un giocatore con quel talento potesse scombinare il suo 4-4-2 in cui le punte Chiesa e Crespo erano gli interpreti perfetti. Quel primo Ancelotti, ancora troppo legato all’ideologia calcistica più estrema, già qualche anno dopo ha lasciato il posto ad un allenatore diverso, pronto a modificare il proprio modo di vedere il calcio prima a beneficio di Zidane e Del Piero nella Juventus e, successivamente, creando il Milan dei 4 trequartisti (con Pirlo, Rui Costa, Seedorf e Rivaldo). Non è un caso che da tre decenni Ancelotti sia un allenatore che ha vinto e continua a vincere in Europa. Rinnovarsi ed evolversi sono verbi che Carletto ha sempre fatto propri.

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Mercoledì sera, più di qualcuno ha storto il naso per il modo in cui il suo Real Madrid ha eliminato il Manchester City. “Ha giocato in contropiede” – è stata l’accusa maggiormente reiterata. Un autorevole giornalista sportivo come Fabio Ravezzani ha detto “se la stessa partita da Real l’avesse giocata la Juve di Allegri, chissà che oceano di critiche. Invece gli stessi puristi tacciono davanti ad Ancelotti (che ha ben altri interpreti)”. Certe valutazioni non sembrano tenere conto del contesto e della carriera di Ancelotti che è un allenatore pragmatico. Quando può preferisce giocare un calcio offensivo, ma se vede che la sua squadra non ha gli equilibri giusti o non è un particolare momento di forma è pronto a modificare la strategia di gioco perché l’avversario, da Ancelotti, viene sempre rispettato. La sua grande forza è quella di non essere ideologizzato - in quanto non deve essere fedele a delle idee precostituite -, e questo gli consente di ricercare sempre il modo di stare in campo migliore per favorire i suoi giocatori.

Definire “fortuna” quella avuta da Ancelotti mercoledì sera a Manchester, significa non conoscere la storia del calcio. Nove anni fa il Real Madrid di Ancelotti venne eliminato in semifinale dalla Juventus di Allegri che tirò in porta pochissimo ed ebbe un possesso palla minore. All’epoca l’immenso Carletto non si nascose dietro i numeri del campo ma riconobbe i meriti degli avversari e la scarsa lucidità offensiva dei propri giocatori. Esattamente come ha fatto Guardiola mercoledì sera (chapeau!). Il giudizio di Arrigo Sacchi pertanto – rispettabile e sacrale in quanto proveniente da uno dei signori del calcio – non può trovarci concordi. Non esistono soltanto due categorie di allenatori nel calcio. Ve n’è anche una terza, ovverosia i pragmatici, in cui ci sono quegli allenatori che non si fanno problemi nello scegliere fra strategia e tattica e che non hanno un’ideologia pagana (offensivista o difensivista) da venerare o da assecondare.

 

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