COME E' DURA FARE IMPRESA

L’indagine di carta sul Milan

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Un’ipotesi d’accusa senza basi, che viola il segreto istruttorio e che rivela l’essenza anti-impresa del nostro Paese
Massimo Bambara

Nella Costituzione italiana esiste la presunzione d’innocenza fino alla sentenza definitiva. Nel caso dell’inchiesta che ha coinvolto il Milan non siamo nemmeno arrivati al concetto di presunzione d’innocenza, visto che ci troviamo in fase d’indagine. Non solo non c’è stata alcuna sentenza di condanna ma, addirittura, non c’è stato ancora nemmeno un atto formale di rinvio a giudizio. E in questa fase, che i giuristi tendono a definire magmatica, c’è un articolo del codice penale che punisce “chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale”. Pertanto, ad ora, abbiamo un’ipotesi di reato che dovrà essere confermata dalla presenza di prove ed un’unica vera violazione di legge, ricorrente e purtroppo di uso comune in Italia, ossia quella dell’articolo 329 del Codice di procedura penale. La ratio di questa norma è abbastanza chiara: tutelare chiunque venga sottoposto ad indagine da una potenziale gogna mediatica, in assenza di indizi di prova concreti che giustifichino l’atto formale di rinvio a giudizio. Le perquisizioni sono, tecnicamente, mezzi di ricerca della prova. Non sono prove, esattamente come le tanto abusate intercettazioni. Consentire che il Milan venga buttato in prima pagina, ipotizzando penalizzazioni ed esclusioni dalle coppe sulla base di una semplice indagine (che dovrebbe rimanere riservata) significa commettere una grave violazione di legge in danno di un club che rappresenta milioni di persone in tutto il mondo.

Appare opportuno poi entrare nel merito di quanto viene contestato dalla Procura di Milano

L’ipotesi di reato che viene attribuita a Ivan Gazidis e Giorgio Furlani è la violazione dell’articolo 2638 del Codice Civile. In sostanza i due CEO del Milan – in base a quanto sostiene l’accusa – avrebbero “esposto fatti materiali non rispondenti al vero relativamente all’aspetto proprietario della società alla F.I.G.C”. Sulla scorta delle considerazioni degli inquirenti, infatti, il Milan sarebbe ancora di proprietà del fondo Elliott. Il quadro probatorio emergente però, non pare avere nemmeno labili presupposti indiziari. In primis la F.I.G.C. non è un organismo di diritto pubblico (come pacificamente riconosciuto in ambito giurisprudenziale) e non può quindi essere considerata come una autorità pubblica di vigilanza. In secondo luogo la Procura di Milano baserebbe l’architettura della sua accusa su una comunanza di caselle postali fra RedBird ed Elliott e su un documento di marketing che ha un valore legale prossimo allo zero. Entrambi questi indizi sono privi di consistenza giuridica. La comunanza di caselle postali non può avere valore probatorio perché è un dato che, nello stato del Delaware, è una normalità che accomuna migliaia e migliaia di imprese. Esiste, altresì, un documento ufficiale della Camera di Commercio olandese che è stato esibito sul proprio sito dall’avvocato Felice Raimondo in cui viene dimostrato che il veicolo che ha versato i soldi al fondo Elliott al momento dell’acquisizione del Milan – RB Fund IV FC AIV C.V. – è un veicolo di proprietà di un fondo appartenente a Gerry Cardinale. Ciò fuga qualsiasi sospetto, al di là di ogni ragionevole dubbio.

Alla luce di quanto sinora evidenziato viene normale porsi una domanda: in che Paese viviamo? Siamo una nazione in cui i diritti degli indagati vengono calpestati, dove una perquisizione diventa un atto d’accusa con il mostro di turno che viene sbattuto sulle prime pagine dei giornali, azzardando scenari che non potrebbero nemmeno essere ipotizzati. Siamo un Paese in cui un rapporto non corretto fra le Procure ed un certo tipo di stampa consente la diffusione di atti d’indagine che dovrebbero, per legge, essere secretati. Siamo un Paese dove non è possibile creare sistema, in cui se una società pensa di costruire uno stadio di proprietà viene considerata un’anomalia, perché l’ideologismo ambientalista è prevalente sui concetti di sviluppo e di crescita che non hanno soltanto una valenza economico/finanziaria, ma che hanno anche una pregnanza strutturale e culturale, a troppi sconosciuta. Siamo un Paese che considera un contratto tipico a livello internazionale come il vendor loan una sorta di imbroglio mascherato, ma che rimane silente, quasi omertoso, dinanzi a società che gonfiano i bilanci di debiti o che li taroccano con plusvalenze fittizie. Il miracolo, sinora, è quello di una proprietà americana come RedBird che, nonostante tutto questo, si ostina a tentare di fare impresa in un Paese come il nostro in cui albergano una cultura contraria alle imprese ed irrispettosa della libertà e del diritto di proprietà. Dietro tutto ciò vi è la convinzione, profondamente sbagliata, che si possa vivere in eterno sui cuscini morbidissimi dei bond e del maquillage contabile. Una pretesa luciferina che prima o poi presenterà un conto salatissimo al sistema calcio italiano.

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