L'ANTIPATIA PRIMA DI TUTTO

L’ossessione batte la passione

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L’improvvida uscita di Pupi Avati su Stefano Pioli evidenzia un assolutismo delle idee inconciliabile con il milanismo.
Massimo Bambara

Sono state molto forti le parole del celebre regista Pupi Avati. Il produttore cinematografico emiliano ha infatti rilasciato delle dichiarazioni sorprendenti: "Con questo Pioli non ho più una storia d’amore. Nel momento in cui hanno liquidato in modo spietato e disumano Maldini, Stefano Pioli non ha detto una parola, è rimasto immobile seduto su quella poltrona, non è stato riconoscente nei riguardi di chi aveva fatto tanto per lui. Io l’irriconoscenza non la posso sopportare. Non riesco più a tifare per questo Milan perché c’è questo Pioli, finché c’è Pioli non ci riesco, spero prima o poi ci lasci, non sulla terra, non umanamente. Quando gioca il Milan ora tifo sempre contro". Pupi Avati è un grande regista ed è uno storico tifoso del Milan. In questa occasione però ha proferito parole insensate e contrarie alla tradizione del club rossonero. Tifare per il Milan è un grande privilegio e bisogna sempre esserne fieri. Peraltro, anche volendo ritenere meritevole di pregio la sua opinione, non si comprende che cosa possa c’entrare Stefano Pioli con il licenziamento di Paolo Maldini. Sono i proprietari del club a licenziare un dirigente, non certo l’allenatore che, gerarchicamente, si trova al di sotto di un Direttore dell’Area Tecnica.

Ma tutto questo ha un valore assolutamente relativo

Ciò che sorprende in negativo delle parole di Pupi Avati non è la sua antipatia per un allenatore (nel calcio succede), ma l’incapacità di conciliare uno stato emotivo contingente con il tifo per la propria squadra del cuore. Un fenomeno ricorrente presente in maniera preponderante sui social dove tanti tifosi, forse eccedendo nel prendersi troppo sul serio, trasformano le proprie idee in bombe a mano da scagliare contro la squadra della propria vita. Tutto questo tradisce il senso dell’appartenenza sportiva e svilisce un certo modo di essere rossoneri. Il tifo è amore, è un legame indiscutibile con i propri colori che non può conoscere l'onta del ripudio. Il tifo è appartenenza. Tifare per il Milan significa avvertire il Milan come una parte di sé, come un compagno invisibile delle proprie giornate, come un barometro dei propri umori. La storia del Milan è troppo grande per poter essere ridotta ad un referendum pro o contro uno dei suoi innumerevoli protagonisti. Tutti noi non abbiamo amato, nel corso degli anni, qualche allenatore, qualche giocatore, qualche dirigente. I percorsi della vita d'altronde sono fatti anche di queste cose.

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Tifare per il Milan però è un privilegio troppo grande per svilirlo con un becero tifo contro. Non può esistere mai. Non ha giustificazioni. E qui entriamo in un altro aspetto finora inesplorato. È molto bello avere delle idee. Anche forti. Le idee sono il carburante della passione. Tuttavia le idee non possono diventare una ossessione contro le persone. Le battaglie ideali sono nobili. Quelle personali non lo sono. Anche io credo che Stefano Pioli sia arrivato alla parte finale del suo ciclo rossonero e in tante occasioni mi sono permesso di argomentare questa mia idea. Il rispetto per l'uomo però non mancherà mai. Si discute sulle idee, mai sulle persone. In quest'ultima frase c'è il senso della civiltà che, dall'età dell'illuminismo in poi, ci ha trasmesso un concetto fondamentale: sono più importanti le idee degli uomini. Le ossessioni pro o contro qualcuno stanno diventando da troppi anni un leit motiv stantio e ineducato. E nel tempo stanno finendo per ledere la fede sportiva che è un dogma positivo, l'unico della nostra esistenza. L'appartenenza ai colori rossoneri è un valore troppo grande per essere sacrificato sull’altare delle proprie idee o di un’antipatia personale nei confronti di chicchessia. Qualsiasi cosa accada bisogna tenere sempre il Milan al centro del villaggio. L’assolutismo dell’io e l’egocentrismo narcisista sono profondamente antitetici al milanismo e alla tradizione rossonera.

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