LA CONCERTAZIONE

Maldini, una questione di metodo

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Una visione diversa sulla strategia di lavoro ha portato Paolo Maldini lontano dal Milan: molteplici le reazioni e le valutazioni
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Redazione DDD Direttore responsabile 

di Max Bambara -

Eraclito sosteneva che tutto scorre nell’esistenza e sincretizzava questo concetto con il famoso brocardo “panta rei”. Adattando questo concetto anche al calcio, è opportuno evidenziare come nessun presidente, dirigente, giocatore o allenatore che sia, possa o debba essere più grande di un club. Perché un club di calcio viene prima dei suoi protagonisti. La discussione sulla fine del rapporto professionale fra Paolo Maldini ed il Milan può essere letta in tanti modi, ma non si deve prescindere da un presupposto fondamentale: il club, come entità, viene prima di chiunque.

Anche di chi, per tradizione familiare e per lignaggio storico, rappresenta meravigliosamente il Milan nel mondo e i cui meriti da dirigente vanno riconosciuti e valorizzati perché sono stati fondamentali nel cammino del Milan in questi ultimi anni. Queste sono le premesse fondamentali per addentrarci in una vicenda complessa, in cui ogni considerazione può avere pertinenza e diritto di cittadinanza. Attenzione però a non andare oltre. L’interesse supremo del club va avanti e deve essere messo dinanzi ad ogni cosa. Non può dipendere da una persona perché se così fosse, e per fortuna non lo è, sarebbe estremamente frangibile.

Un problema di metodo

Il licenziamento di Maldini (anche se è più delicato definirlo fine del rapporto professionale) trova forma il 5 giugno 2023 ma, in realtà, trova la sua origine almeno un anno prima. Qualche giorno dopo la vittoria dello scudetto del 2022, dalle colonne della Gazzetta dello Sport, Paolo Maldini riveste i panni del giocatore, sfoderando uno di quei tackle in scivolata che lo ha reso icona di forza ed eleganza. Paolo Maldini ha un’idea diversa rispetto al fondo RedBird su come va gestito il Milan. Vorrebbe investimenti importanti, ma soprattutto chiede autonomia, parolina chiave in questa vicenda. L’autonomia gli viene concessa circa un mese dopo quando sia lui sia Ricky Massara firmano il rinnovo del contratto; su quella concessione, tuttavia, nascono troppe incomprensioni e forse un alone di diffidenza.

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Il modello gestionale “concertativo”, che era stato uno dei segreti del percorso del Milan dal giugno del 2019 al maggio del 2022, lascia il posto ad una autonomia decisionale in capo a Maldini, che partorisce un mercato 2022 inefficace e non troppo convincente. I dubbi possono essere tanti, ma è lecito pensare che se Maldini non avesse chiesto ed ottenuto quell’autonomia, oggi sarebbe ancora a capo dell’area tecnica del Milan, anche nella malaugurata ipotesi in cui la squadra rossonera avesse mancato la qualificazione alla Champions League. Non c’è stato un problema di risultati, ma esclusivamente di metodo di lavoro. Gli americani credono in un modello gestionale concertativo, in cui vi è una composizione armonica e ponderata di visioni e istanze differenti. In Italia, invece, siamo ancora abituati a ragionare sulla base di una domanda semplice: chi comanda?

Ecco, in Europa, da tempo, non funziona più così. Il dirigente migliore non è colui il quale ti dice che per arrivare a 4 devi fare 2+2. Il dirigente migliore è colui il quale lavora per arrivare a 4 e sa che può arrivarci anche facendo 6-2, oppure 3+1. Serve duttilità, flessibilità, ma soprattutto capacità di adattamento ai momenti ed alle turbolenze. A nostro avviso, impuntarsi sulla questione dell’autonomia non è stata la mossa migliore per Maldini, perché è impensabile che qualsiasi dirigente possa lavorare senza dover rispondere ai proprietari di come investe i loro soldi. Se scegli di fare il dirigente e quindi di lavorare come dipendente di qualcuno il concetto di “autonomia” non potrà mai essere ricompreso nella sua accezione più piena, perché arriverà comunque un momento in cui “chi mette materialmente i soldi” vorrà rese spiegazioni.

Non si discutono, in queste sede, le buone intenzioni di Paolo Maldini che saranno state certamente nobili, nonché patinate di rossonero. Tuttavia, parafrasando Damon Knight, di buone intenzioni è lastricata la strada che conduce all’inferno. Infine sia consentita una sottolineatura: nell’estate 2021 l’Inter ha appena vinto il campionato e la proprietà cinese decide che devono essere ceduti Hakimi e Lukaku per chiudere il differenziale entrate/uscite con circa 150 mln di attivo. Nell’estate 2022 il Milan ha appena vinto il campionato e la proprietà americana concede alla sua dirigenza un budget di mercato di 50 milioni di euro.

Dinanzi a tali fatti inoppugnabili, suonano quantomeno inopportune le frasi di Maldini del 16 maggio scorso, in cui venivano evidenziate differenze sostanziali fra l’Inter ed il Milan. Perché ad oggi Milan e Inter hanno fatto lo stesso numero di punti nelle ultime 76 partite di campionato, ma il Milan ha investito oltre 100 milioni sul mercato in due anni; l’Inter ha chiuso in attivo di circa 150 mln. La tesi principale di Maldini sostanzialmente, veniva smentita dai numeri degli ultimi due anni e cavalcarla pubblicamente nel corso dell’ultimo periodo non è stata una grande idea per l’ex grandissimo capitano del Milan.

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