Mentre il calciomercato italiano vive una sostanziale fase di empasse, con le grandi che rincorrono a fatica i propri obiettivi, il Napoli procede a vele spiegate seguendo i propri piani. È l'anno della rivoluzione e chi credeva di averlo già vissuto la passata stagione si è sbagliato. Kevin De Bruyne, Noa Lang, Sam Beukema, Lorenzo Lucca, Vanja Milinkovic-Savic, Luca Marianucci, a breve anche Miguel Gutierrez e forse pure Juanlu Sanchez. Siamo di fronte forse al mercato più importante di sempre della storia del Napoli, che seppur non ha toccato quasi nulla nell'undici iniziale, ha portato la rosa ad un livello di lunghezza e completezza mai raggiunti prima.
editoriale
Osimhen e Simeone, una finestra su Napoli

DIEGO ARMANDO MARADONA STADIUM, NAPOLI, ITALY - 2023/03/15: Giovanni Simeone of SSC Napoli substitutes Victor Osimhen during the Champions League football match between SSC Napoli and Eintracht Frankfurt. Napoli won 3-0 over Eintracht and qualified for round of 8. (Photo by Andrea Staccioli/Insidefoto/LightRocket via Getty Images)

Porte girevoli nel castello azzurro, per tanti volti nuovi che arrivano, ma anche tanti eroi dello scudetto - o degli scudetti - che se ne vanno. Tra le tante cessioni, spiccano sicuramente quelle di Victor Osimhen e Giovanni Simeone. Due protagonisti indiscussi del terzo tricolore, due attaccanti che con i loro gol hanno scritto dei piccoli pezzi di una storia enorme, due calciatori fondamentali ma con pesi specifici diversi. Due uomini che vanno via avvolti da un paradosso, che è una lezione di sociologia su Napoli e sui napoletani.

Rancore e indifferenza, l'addio di Osimhen
—Si potrebbe scrivere un libro di ragioni valide per spiegare come sia possibile che Victor Osimhen, l'eroe del terzo scudetto insieme a Kvaratskhelia, il capocannoniere della Serie A 2022/23, ottavo nella classifica del Pallone d'Oro e vincitore di quello africano, sia andato via in un bagno di insulti e pernacchie da parte dei napoletani. Ma il succo del discorso è proprio questo, e ben sublima cosa significa vestire la maglia del Napoli: prima l'uomo, poi il calciatore. E se Osimhen va via tra odio e indifferenza, è perché l'uomo è stato decisamente più scarso del calciatore.
Osimhen è stato parte di una storia che probabilmente non ha neanche capito. Nessuno potrà mai togliergli il merito e la gloria di esser stato il nove dello scudetto, ma tutto ciò che è venuto dopo ha indubbiamente sporcato e mortificato quella narrazione quasi eroica che lui stesso si era costruito. La presunzione e l'arroganza hanno preso il sopravvento su un'umiltà dipinta soltanto a parole. E in una città che crede nei valori umani più di ogni altra cosa e che mette avanti a tutto la propria identità, la mancanza di rispetto è un affronto vero e proprio.

Il post scudetto di Victor Osimhen è una lunga serie di comportamenti irriverenti e irriconoscenti verso una società, una piazza e un popolo che invece gli ha sempre perdonato tutto. Un delirio di onnipotenza che lo ha portato a credersi non solo un primus inter pares, ma anche superiore al Napoli stesso. L'apice lo ha toccato con le pubbliche accuse di razzismo al club per un video ironico condiviso su TikTok, che hanno scatenato una vera e propria macchina del fango internazionale contro la squadra e la città. Oltre ad un vero e proprio conflitto diplomatico che ha coinvolto addirittura le istituzioni nigeriane.
È per questo e per una lunga serie di altri episodi che il rapporto tra Napoli e Osimhen si rompe definitivamente. Da quel momento, l'attaccante nigeriano toglie ogni riferimento agli azzurri dalla sua pagina Instagram, cancella tutte le fotografie, elimina il tag dalla biografia. Va via una prima volta al Galatasaray dopo un'estate di capricci senza neppure un saluto. Come se in quattro anni non ci fosse stato nulla. Silenzio assoluto anche dopo la vittoria del quarto scudetto. Come se Napoli non gli avesse davvero lasciato niente.
La sua cessione al Galatasaray – "una scelta di cuore" da 16 milioni di euro annui – è stata una sorta di liberazione, perché ha messo definitivamente un punto ad una relazione che era diventata tossica. Tossica perché i sentimenti, qualora ci fossero realmente stati, non erano sicuramente bilanciati. All'amore di un popolo che lo ha reso grande ha risposto con ingratitudine e indifferenza.
Poteva essere una leggenda. Ha scelto di essere un mercenario qualsiasi.
Emozione e passione, l'addio di Simeone
—"Prima l'uomo, poi il calciatore": lo ha scritto anche Pasquale Mazzocchi salutando il Cholito. Giovanni Simeone è stato il gregario per eccellenza. Nel 2022 ha scelto Napoli preferendola a tante altre destinazioni che gli avrebbero garantito ben più minutaggio. Ma per gli argentini – si sa –, vestire la maglia azzurra è un incastro idilliaco in un disegno divino.
Al di là dei gol, che in questi tre anni sono stati pochi ma incredibilmente pesanti, i tifosi del Napoli si sono innamorati di Simeone, e di tanti altri prima di lui, fondamentalmente per una ragione: l’identificazione. I napoletani hanno riconosciuto nel Cholito uno di loro. E lui, allo stesso tempo, si è sentito subito uno di loro. C'è stata identificazione perché ha dimostrato di tenerci davvero: con i fatti, non con le chiacchiere. Come era accaduto con Maradona, per prenderla alla larga, fino ad arrivare ai più recenti Lavezzi, Cavani e Mertens.

Napoli è uno stato d’animo. Un microcosmo complesso in cui emozioni e sentimenti scandiscono la vita più delle cose materiali. Una piazza in cui le lacrime di gioia e quel bacio al polso con lo stemma della Champions contano più del pallone che entra in rete contro il Liverpool. Perché c’è stata identificazione. Ed il sogno di Simeone, quella sera, era anche il sogno di tutti i napoletani.
Oltre la retorica della maglia sudata, Simeone ha davvero messo sempre il cuore. La famosa garra, che poi diventa un qualcosa di molto vicino alla cazzimma. È stato vero, puro, sincero. Un professionista serio, che non ha mai detto una parola fuori posto, e che – al di là dei giudizi – ha dato tutto quello che poteva dare. Lui, al contrario di Osimhen, la storia di Napoli e l'anima dei napoletani l'ha percepita, l’ha compresa, l’ha rispettata e l’ha fatta anche un po’ sua.
E mentre l’uno scappa e si nasconde, cancella tutto e va via nel silenzio generale – anche dei suoi ex compagni –, l’altro si è goduto con orgoglio anche l’ultimo secondo. Ha salutato tutti in lacrime Simeone, camminando a piedi scalzi sul prato del Patini, battendo la mano sullo stemma del Napoli. Consapevole che sarebbe stata l’ultima volta.
Una finestra su Napoli
—Ecco, quando si dice che Napoli è una piazza particolare, si fa riferimento anche a queste dinamiche tutt'altro che marginali. Non è facile o scontato farsi amare da un popolo che mette prima di tutto la propria identità, i propri ideali, la propria cultura. Perché il napoletano, poi, è anche una persona estremamente labile, che vive di reazioni forti, plateali, esagerate e imprevedibili. Un giorno ti eleva in cielo ed il giorno dopo ti sotterra. Ma se lo fa, fondamentalmente, è perché ci tiene. Ed è pronto a mettere tutto da parte, se riconosce che dall’altra parte c’è rispetto, c'è passione, c'è un sentimento genuino.
Gli addii di Osimhen e Simeone aprono uno spaccato interessante su quello che è il modo di intendere il calcio, ma anche più in generale la vita, da parte dei napoletani. A chi non lo capisce può sembrare forse una contraddizione. Ed invece, l’essenza è proprio tutta qui.
Uno è stato decisamente più importante dell'altro, è stato l'attore protagonista, ha segnato 76 gol e ha trascinato il Napoli al suo terzo scudetto dopo 33 anni, ma ha dimostrato di valere poco dal punto di vista umano. L'altro è stato una semplice comparsa, seppur con qualche scena rilevante, ma ha dimostrato di esser pronto ad andare in guerra contro qualsiasi avversario per difendere la maglia. Uno è stato Uomo, l'altro un calciatore.
Ecco perché agli Osimhen o agli Higuain, Napoli preferirà sempre gente come Simeone, Elmas o Mazzocchi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

/www.derbyderbyderby.it/assets/uploads/202410/0c4c00834fe4885f71b81a5e06345486.jpg)