IL FANCIULLINO...

Derby, perché il Milan deve crederci

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Il Milan deve provarci: è questo il senso dello sport e della fede calcistica in generale. Di una competizione come la Champions League in particolare...
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Redazione DDD Direttore responsabile 

di Max Bambara -

Sono perfettamente consapevole che è molto difficile. La qualificazione alla finale di Champions League, purtroppo, è stata compromessa con una gara d’andata che è stata sbagliata nell’approccio mentale e nella gestione tattica. Il risultato che ne è venuto fuori è ineccepibile. Però io ho una visione molto personale della fede calcistica e del senso dello sport. Per me bisogna credere sempre di poter ribaltare un risultato, anche quando tutto sembra dire che è impossibile. Non mi vergogno di crederci. Ne faccio un vanto. Il Milan non è finito in semifinale di Champions perché qualcuno lo ha trascinato lì regalandogli il biglietto d’ingresso per l’Olimpo. Quello che il Milan ha ottenuto se lo è meritato sul campo, superando il girone ed eliminando poi due avversari non di certo abbordabili come Tottenham e Napoli.

Il Milan è cresciuto, come squadra e come gruppo

La Champions rossonera è stata positiva e ha permesso a questo collettivo di alzare il livello. Se il Milan è qui però, non può permetterci di pensare che due gol siano un abisso inesplorabile. Se l’avesse pensato nel febbraio 2022, quando a 20 minuti dalla fine il Milan era sotto nel derby con l’Inter, oggi non ci sarebbe uno scudetto in più nella bacheca rossonera. I tifosi dicono: "Eravamo in campo invece, giocavamo, lottavamo, credevamo, speravamo. Il senso dello sport si racchiude nella parola “crederci”. Crederci sempre, crederci anche quando gli eventi, le avversità, le sfortune, sembrano dirci che non è aria. Se andrà male, a fine partita faremo i complimenti all’Inter che si è meritata la finale".

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Ma in 90 minuti possono succedere molte cose. Basta un gol per cambiare l’inerzia umorale di una partita; a volte è sufficiente una giocata per mutare l’equilibrio psicologico. Per onorare lo sport, a mio parere, crederci è la condizione fondamentale dell’anima. Comunque vada sarà importante uscire dal campo con la sensazione di avere dato tutto, forse anche di aver lasciato lì qualcosa che non avevamo. Nella gara d’andata, per tanti motivi, non siamo riusciti a dare tutto. Siamo rimasti inespressi per troppo tempo e l’Inter ha costruito una gara quasi perfetta sulle nostre insicurezze e su una vaghezza tattica che è dura da spiegare. Dobbiamo guardarci dentro e poi provare a tirare fuori ciò che abbiamo. Forse non basterà per qualificarci, ma lo dobbiamo a noi stessi e al cammino che abbiamo percorso sino ad oggi. Crederci quindi, crederci anche se il vento sembra contrario fra l’infortunio di Leao e quello di Bennacer. A volte basta un rimpallo, un ciuffo d’erba, uno stinco, per cambiare l’ordine naturale delle cose.

Nell’aprile del 2002 il Milan aveva perso 4-0 a Dortmund in semifinale di Coppa Uefa. Il ritorno pareva una formalità. Eppure dopo il gol del 2-0 di Contra a metà primo tempo, tutto lo stadio sentì un brivido di adrenalina che ne attraversò lo stomaco. Il Milan vinse 3-1 alla fine. Non bastò. Eppure le emozioni provate durante quel tentativo di rimonta sono ancora vive, fanno parte del corredo emozionale del tifoso rossonero: "Siamo risaliti dalle tenebre della mediocrità in cui eravamo caduti negli anni scorsi: non possiamo, oggi, aver paura di due gol da rimontare. Accada quel che accada il nostro dovere è crederci, anche a costo di andare contro la razionalità. Perché il calcio, fra gli sport di squadra, è quello meno razionale. In certi momenti basta una giocata per accedere la scintilla giusta. Cerchiamola, proviamoci, tentiamo qualsiasi strada. Crediamoci perché ne vale la pena. Lo dobbiamo a noi stessi e al fanciullino che alberga dentro di noi".

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