LA REAZIONE DI SISTEMA NON DI PANCIA

Scommesse, il focus

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I temi principali del caso che ha coinvolto alcuni giocatori della Nazionale italiana.
Redazione Derby Derby Derby

di Max Bambara -

I fatti dell’ultima settimana, con il coinvolgimento di alcuni giocatori importanti nella vicenda delle scommesse, meritano alcune riflessioni, essenzialmente su tre grandi temi che sono diventati effettivi nel dibattito pubblico sportivo.

L’abuso del termine “scommessopoli”

Qualcuno ha già presentato questo nuovo scandalo come “scommessopoli”. Legittimo dal punto di vista dell’impostazione mediatica perché l’informazione cerca sempre un titolo evocativo. Tuttavia sia consentito dire che il termine “scommessopoli” è discutibile sotto altri profili. Il presidente Gravina ha ragione su questo punto; la sua presidenza si presta a parecchie critiche per varie questioni, ma in merito alla vicenda delle scommesse il punto di vista espresso è stato molto chiaro ed estremamente lucido: “Esiste una malattia, la ludopatia, che non è un problema del calcio: su cinque milioni che giocano, un milione ne è affetto ed è normale che ci sia qualcuno dei nostri tesserati. Chi ha sbagliato pagherà e la pena sarà afflittiva, ma aiuteremo chi sta male: la Federazione non abbandonerà questi ragazzi, ma li accompagnerà verso il recupero”. Nelle parole del numero uno federale c’è una fotografia della realtà e c’è la volontà di punire chi ha sbagliato. Nessuno spazio invece per un pubblico ludibrio che, negli ultimi giorni, è stato eccessivo ed indecente. Chi ha sbagliato pagherà, ma non può e non deve diventare il destinatario di fango gratuito.

L’assurda richiesta di pene esemplari

La differenza fra una civiltà improntata al diritto ed una civiltà improntata agli umori beceri sta tutta nel concetto di pena. Per chi ritiene che il diritto debba prevalere sulle pance e sui giudizi sommari, la pena deve essere congrua e deve rientrare nell’alveo della norma violata. Chi invece preferisce che il diritto venga messo da parte, utilizza il concetto di pena esemplare, come se la punizione di Tizio o Caio debba servire per dimostrare agli altri che una determinata condotta non va tenuta. Non esiste nulla di più aberrante.

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Pensare che possano essere disposte “pene esemplari”, è un’aberrazione giuridica che conferisce allo Stato un potere abnorme perché introduce i concetti di condanna etica e di moralità della pena. Così non può e non deve essere. Se verranno accertate le responsabilità di alcuni giocatori o, addirittura, se qualcuno di loro opterà per il patteggiamento, le pene dovranno essere commisurate alla gravità dei fatti e allo spirito collaborativo dei rei. Le pene esemplari invece non devono esistere: sono tipiche dei regimi autoritari ed hanno un cattivissimo retrogusto di abuso di potere.

Non può essere una guerra fra tifoserie

La bellezza del calcio sta nell’appartenenza e in quella sana rivalità sportiva fra certi club che a volte può essere anche esasperata. Questo è indiscutibile purché, ovviamente, tutto rimanga nei confini della civiltà e del buonsenso. Ma dinanzi a certi fatti il tifo, anche quello più viscerale e più sinceramente passionale, deve lasciare lo spazio a qualcosa di diverso. Trattare la vicenda delle scommesse come una guerra fra bande, con la tifoseria della squadra X che spera venga coinvolto il giocatore della squadra Y non è un buon modo di approcciare alla questione. I club, d’altronde, in questa vicenda sono parte lesa. E da parte lesa potrebbero legittimamente rivalersi sui giocatori coinvolti. Molto probabilmente non lo faranno perché i dirigenti apicali dei club ed i proprietari degli stessi, si rendono conto che la posta in gioco va oltre una squalifica o un danno patrimoniale al momento non quantificabile. Dinanzi ad una vicenda come questa la reazione deve essere di sistema. Se nascono le bande, coi colori riconoscibili delle squadre di club, si perde di vista il senso vero di quanto sta avvenendo. Sarebbe la sconfitta più grande.

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