di Max Bambara -
DENTRO L'EMERGENZA
Un insegnamento storico
I temi principali dell’ultima settimana rossonera si possono sintetizzare in due punti fondamentali: gli infortuni e un percorso Champions complicato. Non è nostro compito entrare nel merito della questione degli infortuni perché mancano conoscenze e competenze. Dovremmo sapere nel dettaglio come si allena la squadra e che tipo di sollecitazioni vengono svolte. In assenza di questi dati, fare ipotesi diventa complicato. Quel che possiamo fare però è aprire una finestra sul mare. Il 4 novembre prossimo ricorre il ventennale di una partita storica per il mondo rossonero: Bruges-Milan 0-1. Ai più giovani e a qualche smemorato potrà sembrare una gara come un’altra. D’altronde il Milan che vince in Belgio per 1-0 non è o non dovrebbe essere nulla di trascendentale.
Non fu così...
All’epoca, siamo nel 2003, il Milan era campione d’Europa in carica. Era una squadra fortissima, con grandi personalità e caratteri spigolosi, gestiti con sapienza e bonomia da Carletto Ancelotti. Quel Milan però aveva un tallone d’Achille: quando si rilassava tendeva ad avere cali di tensione imprevedibili. Al sorteggio del girone di Champions League in tanti avevano definito “abbordabile” quel girone. C’erano l’Ajax, che solo qualche mese prima aveva conteso la semifinale di Champions League al Milan in un quarto di finale al cardiopalma, e poi il Bruges e il Celta Vigo. Queste ultime due compagini non apparivano in grado di creare grattacapi ai campioni d’Europa in carica. E così dopo la prima partita del girone, vinta per 1-0 contro l’Ajax (gol di Inzaghi), la spina della tensione ha iniziato ad abbassarsi. D’altronde quel Milan al campionato ci teneva tanto e doveva fronteggiare un grandissimo avversario, la Roma di Capello, Totti e Cassano. Dopo un mesto 0-0 a Vigo nella seconda partita del girone, alla terza giornata il Milan doveva affrontare in casa propria il Bruges. Sembrava una di quelle partite scontate, magari da portare a casa con un risultato rotondo. La squadra belga giocava uno spartano 5-4-1. In porta c’era ancora Verlinden (protagonista di qualche sfida con il Milan di Van Basten nei primi anni 90) e in avanti un centravanti peruviano di nome Mendoza. Il Milan perse 0-1 proprio per un gol di Mendoza (di fattura pregevolissima perché realizzato in corsa con l’esterno sinistro) e grazie ad una serie di parate incredibili del 40enne Verlinden (in quel momento in più anziano giocatore a disputare una gara di Champions League). Gli sguardi increduli dei giocatori rossoneri a fine partita sembravano dire più di mille parole.
Per tali ragioni la partita del 4 novembre 2003 in casa del Bruges si presentava come una gara molto complicata perché il Milan aveva dimostrato di soffrire le squadre che si chiudevano a bunker e perché il Bruges, in contropiede, era una squadra molto insidiosa per la difesa rossonera. Pronti via e quella partita sembrò subito stregata. Nel giro di pochi minuti il Milan si prese una ammonizione inesistente a Nesta, un infortunio muscolare a Maldini ed un secondo giallo un tantino fiscale per un fallo di Nesta. Al minuto 37 di quella partita, con circa un’ora da giocare (incluso il recupero), il Milan si trovava 0-0 contro un avversario che aveva dimostrato di soffrire, in dieci uomini e senza la sua coppia centrale difensiva (Nesta e Maldini). Simic entrò al posto di Tomasson e fu 4-4-1 con l’idea di tenere il più possibile. Era la prima volta in assoluto che il Milan giocava con la coppia Simic-Costacurta al centro della difesa perché nella stagione passata il croato Simic era stato usato prevalentemente da terzino destro bloccato. Trovare subito distanze ed equilibri non era semplice. In quel momento l’emergenza infortuni e la possibilità di andar fuori dalla Champions League erano due evidenze molto lampanti. Il Milan soffrì tanto in quel secondo tempo, ma alzò oltremodo la soglia dell’attenzione e della coesione di squadra. Al minuto 86 di quella partita, su un cross morbido di Cafu, Ricardino Kakà realizzò una di quelle reti che non è un semplice gol; è un inno alla gioia, una poesia di primavera, una brezza delicata che accoglie i viandanti dopo un lungo viaggio.
Chi ha amato Kakà, oltre ogni ragionevole dubbio ed oltre ogni ragionevole forma di razionalità, sa perfettamente che non c’è alcuna retorica. Il Milan vinse poi anche ad Amsterdam due settimane dopo, qualificandosi al turno successivo di Champions League. Quel Milan seppe cogliere dall’emergenza infortuni creatasi dentro una gara chiave, un’occasione per andare oltre sé stesso, per alzare ancora di più il livello. Si tratta di un insegnamento da cogliere e da mandare a memoria. Dinanzi alle difficoltà c’è chi si lamenta, chi urla contro il destino cinico e baro, chi cerca colpevoli per sfogare la propria rabbia ed una buona dose di frustrazione. E poi c’è chi, invece, prova a trasformare un momento difficile in una grande opportunità di crescita. Quel Milan seppe farlo. Tocca adesso a questo Milan dimostrare di poterlo fare. Senza piangersi addosso, perché non è produttivo, ma concentrando tutte le energie e tutta la concentrazione sulle prossime tre partite.
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