Rio de Janeiro, 18 settembre 2025, 21.30, ora locale. Il Maracanã si prepara a diventare il centro del continente: il Flamengo ospita l’Estudiantes per l’andata dei quarti di finale di Copa Libertadores. E la Città Meravigliosa è pronta ad accogliere la delegazione di La Plata con lo sfarzo delle grandi occasioni.
Copa Libertadores
Flamengo-Estudiantes: tra torcida e barra brava, il cuore selvaggio del tifo sudamericano

RIO DE JANEIRO, BRASILE - 24 NOVEMBRE: Un fan del Flamengo guarda alla telecamera durante le celebrazioni del giorno dopo che il Flamengo ha vinto la Copa CONMEBOL Libertadores in Avenida Presidente Vargas nel distretto di Candelária il 24 novembre 2019 a Rio de Janeiro, Brasile. (Foto di Bruna Prado/Getty Images)

Torcida contro barra brava: due scuole di tifo che non potrebbero essere più diverse, e al tempo stesso più simili. L’amore e la violenza: da una parte la samba, i bengala e il carnevale, dall’altra le bandiere cucite a mano, i cori e il fragore dei tamburi. Brasile e Argentina condividono la stessa geografia sentimentale, e forse proprio per questo si guardano con diffidenza, se non con aperta ostilità. Rio e La Plata sono tra i luoghi dove è più pericoloso assistere a una partita di calcio, forse. Ma sono anche quelli dove il tifo è ancora selvaggio, crudo e autentico.
Il Flamengo e la sua torcida

La Raça Rubronegra, la più grande torcida organizada del Brasile, nasce nel 1977, per mano di Cláudio Cruz, da un’idea semplice e radicale: dare una seconda famiglia a chi, come lui, era doente pelo Flamengo – malato di Flamengo. Raça, infatti, significa “forza di volontà, desiderio ardente”. Allo stadio, i suoi torcedores si riconoscevano dalle maglie, rosse come il sangue, come l’amore per il club e per gli ideali di sinistra. Fin dai primi anni, la Raça è più di un gruppo di tifosi: tifare Flamengo non è un passatempo, ma è più simile a una febbre, una possessione collettiva che travalica il calcio. E, negli anni in cui il Brasile cambiava sotto la spinta dell’urbanizzazione, Cláudio Cruz si proponeva di cambiare la mentalità delle persone, renderle più consapevoli, attive nella comunità e nella politica.
Le torcidas organizadas – dalla Raça Rubronegra alla Torcida Jovem fino all’Urubuzada – sono corpi intermedi tra la società e la sua gente. Coordinano le coreografie, dettano i cori, ma diventano anche il megafono del malcontento politico e sociale. Allo stadio, l’esperienza è totale. Una processione di migliaia di tifosi riempie le vie di Rio: ragazzi con le birre in mano, nonne con la maglia rossonera, bambini sulle spalle dei genitori che cantano l’inno a memoria – Flamengo uma vez, Flamengo pra sempre.

Le coreografie non sono solo spettacolo, ma atti di resistenza urbana: bandiere dipinte a mano, teli giganteschi che inghiottono interi settori del Maracanã, fuochi d’artificio illegali che esplodono a ritmo di musica. Per i torcedores, il tifo è arte. E, proprio come tutte le altre arti, è un modo per esprimere dissenso in una città segnata dalle speculazioni immobiliari e da un calcio-business in cui i poveri non possono trovare spazio. Dal malcontento possono nascere risse, infiltrazioni criminali, speculazioni sulla rivendita di biglietti e di merchandising, è vero. Ma la torcida è molto più di questo. Vive tra i gruppi di amici e le famiglie che si ritrovano per guardare la partita, e si esprime nelle raccolte fondi, nella distribuzione di generi alimentari, nel sostegno a progetti educativi e nella promozione di valori di inclusione. Essere Flamenguista, in definitiva, significa molto più che tifare una squadra.
L’Estudiantes e la barra brava argentina

Quella dell’Estudiantes de La Plata non è solo una storia di successi sportivi. Sulle gradinate, mentre si gioca sul campo, la barra brava conduce un incontro parallelo, fatto di identità, conflitti interni, presenza politica e violenza. La vasta tifoseria dell’Estudiantes è famosa come la Barra de los Pincharratas, i “pizzicatopi”. L’origine di questo soprannome è poco chiara: c’è chi la fa risalire a Felipe Montedónica, un tifoso storico che da bambino combatteva contro i ratti tra le bancarelle del mercato, e chi invece ai primi sostenitori del club, molti dei quali erano studenti proprio della Facoltà di Medicina, dove si diceva che facessero esperimenti proprio sui topi.
I due gruppi più famosi della barra, Los Leales e Los Legendarios, si affrontano spesso in un derby interno fatto di coreografie, scontri per il controllo della tribuna, di video minacciosi e, qualche volta, di violenza fisica e armata. Al centro della scena oggi c’è Iván Tobar, El General, leader di Los Leales, con forti influenze nella politica e punto di riferimento per chi vede il calcio come spazio di conflitto sociale e non solo come sport. Quello della barra, però, non è solo un mondo brutale. Negli ultimi anni, sono arrivati dei segnali di cambiamento: per esempio, la pirotecnica sonora è stata bandita dalle feste per rispetto dei bambini, degli anziani e delle persone sensibili, invitando anche il club e le filiali a seguire l’esempio. Alcuni leader hanno parlato apertamente di errori commessi, invitando i tifosi a una tregua interna e a limitare gli scontri.

Allo stadio, la barra non passa inosservata – striscioni, tamburi, cori martellanti, chilometri di carta igienica lanciata dagli spalti – ma vive soprattutto nella città: nei bar, nei quartieri popolari di La Plata, nella rivalità quotidiana con il Gimnasia, nei rapporti con la politica locale, con i sindacati e nelle proteste di una comunità che non si sente rappresentata dal potere centrale. Essere parte della tifoseria organizzata dell’Estudiantes significa doversi confrontare ogni giorno con tutti i suoi spigoli e contraddizioni: fede e rabbia, identità e comunità, senso di appartenenza e rischio. È una passione che brucia, a volte anche troppo, ma che sceglie di rimanere in bella vista.
Flamengo-Estudiantes: il confronto sugli spalti
—Flamengo contro Estudiantes. Da una parte la samba, i bengala colorati e la gioia collettiva della torcida; dall’altra il fragore drammatico dei tamburi, gli striscioni e la militanza rabbiosa della barra. Due mondi che si somigliano più di quanto vorrebbero ammettere, legati dalla stessa idea: che il calcio non sia solo un gioco, ma un linguaggio attraverso cui passano l’appartenenza e il conflitto. Tanto i Flamenguistas quanto i Pincharratas lo sanno bene: il tifo, qui, è un atto totale. Gioioso e violento, inclusivo ed esclusivo, politico e poetico.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

/www.derbyderbyderby.it/assets/uploads/202505/c1ce30530058bede8596ed3bfce29d64.jpg)